Articolo tratto dall’Osservatore romano – «Non fermiamo i nostri occhi solo sulle macerie, sugli orrori di cui può rendersi capace un’umanità abbrutita, non restiamo sospesi in questo sentimento vago e scoraggiante di qualcosa di ineluttabile che è lì, contro il quale non possiamo fare nulla. Guardiamo a cosa possiamo fare oggi». È un passaggio dell’appello che le monache trappiste del monastero di Azeir (tra Homs e Tartus) hanno diffuso in favore del popolo siriano martoriato da oltre quattro anni di guerra. Pubblicato sul sito in rete Ora pro Siria, il testo invita a «guardare “oltre” questa guerra» e a leggere con intelligenza «le implicazioni politiche, le manipolazioni internazionali, gli interessi che hanno provocato e mantengono vivo il conflitto siriano». Nella prospettiva di costruire un futuro di pace.
Il primo passo, sostengono le monache facendo eco a un appello diffuso in Germania, è quello di porre termine all’«iniquo strumento» delle sanzioni internazionali che di fatto finiscono per colpire solo la popolazione più debole e povera. «Sempre più persone — dicono le religiose — ci chiedono: ma noi cosa possiamo fare? Ora che tutti, o quasi, ne parlano, e che incredibilmente tutto, o quasi, va avanti come prima, chi davvero vorrebbe poter fare qualcosa per la Siria, e soprattutto per i siriani e tutto il Medio oriente, si sente impotente». Eppure, «non è così, qualcosa si può fare». In primo luogo si deve «non smettere di voler capire ciò che riguarda questa guerra, informarsi, cercare di ascoltare tutte le parti». Ed è già «moltissimo», perché «molto di ciò che è accaduto è stato possibile grazie alla disinformazione, al potere e alla violenza di una comunicazione asservita ai vari interessi di parte, così come accade purtroppo per tante altre realtà». Occorre cioè andare in profondità, andare oltre alla fragile superficialità degli avvenimenti. E guardare a «quello che vogliono oggi i siriani, quello di cui hanno bisogno».
Che è soprattutto riprendere a vivere superando l’ostacolo insormontabile delle sanzioni. «È veramente ora di finirla con questa vergogna. Si sa benissimo — sostengono le trappiste — che tali misure non colpiscono affatto chi è al potere. Le sanzioni colpiscono la gente, e in modo durissimo. Niente materie prime per lavorare, niente medicinali, anche per le malattie gravi. Tutto carissimo, i prezzi degli alimenti sono arrivati a dieci volte tanto. Senza lavoro, in un Paese in guerra, dilaga la violenza, la delinquenza, il contrabbando, la corruzione, la speculazione, l’insicurezza. Questi sono i frutti delle sanzioni». In Siria «la gente non ne può più. Provate a immaginare quanti sono quattro anni per un bambino in crescita? Quanto importanti?».
L’appello rilancia un comunicato dai toni molto duri sottoscritto in Germania da leader religiosi in cui si sottolinea come, al pari di quanto avvenuto in passato per l’Iraq, «l’embargo alla Siria funziona da moltiplicatore e alimenta la guerra fratricida: 220.000 morti, quasi un milione di feriti e mutilati, più di dieci milioni di profughi».