Una delle firme più interessanti della Stampa è quella di Massimo Gramellini, che ogni giorno distilla note di buon senso dalla finestra a taglio basso di prima pagina intitolata “Buongiorno”. In quella di martedì 7 marzo parla del “Giubileo dimenticato”, ossia “bruciato” come notizia.
È insomma il Giubileo del 2000, dove tutto è relativo. Paragonato a quello di mille anni fa, dove la gente metteva a repentaglio la stessa vita pur di compiere un atto di fede, si ripropone il quesito drammatico del Vangelo: “Ma Cristo, quando tornerà, troverà ancora la fede su questa terra?”. Leggo il bellissimo libro di Marina Cepeda Fuentes: “La cucina dei pellegrini da Compostella a Roma” (ed. Paoline £. 38.000) e scopro che tutto, persino la costruzione di chiese e di monasteri era segno di quel viaggio, che è poi il viaggio dell’uomo verso il Destino. Nell’Abbazia di Sant’Antimo a Montalcino, i pellegrini giravano da sinistra verso destra, perché così si svelava man mano la luce, che è il percorso della vita, il perdersi per trovarsi, la conversione che passa dalla via stretta della mortificazione. Affascinante. Gramellini conclude il suo pezzo dicendo: “Ma non è colpa della fede e nemmeno dello schermo: è che ancora non si è trovato il modo di far palpitare un fenomeno interiore con il linguaggio tutto esteriore dei media”. Può darsi. Ma come faccio ad essere d’accordo io, uomo del XX e XXI secolo, che il cammino della fede l’ho intrapreso incontrando il carisma di don Giussani? Come posso sottoscrivere che il problema della fede sta nella comunicazione? E come fa il mio vescovo, quello di Alessandria, che nell’incontro annuale coi giornalisti annuncia la grande novità: il Giubileo dei lavoratori sarà arricchito della presenza di cantanti rock? Forse i problemi si risolvono ormai solo coi nani e le ballerine, dalla fame nel Terzo mondo, alla coscienza del Giubileo. Ma,… ma non sono d’accordo. Per me il vino è vino: rosso di buon corpo, dai profumi intensi; il vino novello, il vin brulé, il vino annacquato, non ti faranno mai capire cos’è un vino davvero. Minano la tua conoscenza, come la star che canta per il Giubileo e parla di un Cristo che non è il Salvatore, oggi come ieri, ma di un personaggio della storia, come tanti, una fra milioni di nomi che viaggiano via Internet o timidamente nascosti tra le note di un rap. Tempo perso la delega ai cantanti per spiegarci il Giubileo, talmente perso che anche di fronte a certi atteggiamenti di uomini di Chiesa, vien su più drammatica la domanda: “Ma Cristo troverà ancora la fede sulla terra?”. A don Giussani che ha messo in un angolo di via Statuto persino il ping pong, tanto diventava affascinante quella compagnia che veniva da Duemila anni di storia, senza mediazioni, voglio dedicare il Barolo Sperss di Angelo Gaja. A berlo dà un’idea di vino, di terra, di miracolo della natura. Macché un’idea: è un vino. Se girasse in qualche Curia insinuerebbe la voglia, in chi lo assaggia, di persuadere attraverso un fatto (concreto come la carne) che accade nell’esperienza. Nell’esperienza propria. Non in quella di Jovanotti, Morandi o di padre Cionfoli.