La Cina ora teme una maxi stagnazione alla giapponese

Di Rodolfo Casadei
10 Agosto 2023
Non solo deflazione e collasso dell’immobiliare. Segnali pessimi anche da export, inflazione di fondo, produzione industriale. Ecco perché si parla già di “recessione di bilancio” per il paese di Xi Jinping
Un corriere davanti a un manifesto pubblicitario di prodotti alimentari a Pechino
Foto Ansa

L’economia cinese va verso una stagnazione del tipo di quella che ha preso piede negli anni Novanta in Giappone, e dalla quale il paese del Sol Levante non si è mai pienamente ripreso? È questa la domanda che molti si pongono dopo l’annuncio ufficiale che l’economia cinese è entrata in deflazione: i prezzi al consumo sono diminuiti per la prima volta dal febbraio 2021, quando impazzava il Covid.

L’indice dei prezzi al consumo alla fine di luglio risultava in flessione dello 0,3 per cento rispetto al dato di un anno fa. Il costo dei generi alimentari, dei trasporti e dei beni per la casa è diminuito nel luglio scorso, fino al 26 per cento per quel che riguarda il prezzo della carne di maiale. A questi si aggiungono altri dati che fanno pensare che la ripresa economica seguita all’abrogazione delle draconiane misure di controllo del Covid si stia esaurendo, e che l’obiettivo di una crescita del Pil del 5 per cento su base annua (considerato un obiettivo prudente quando è stato deciso dal governo) potrebbe essere mancato, anche se alla fine di giugno il Pil risultava essere cresciuto del 6,3 per cento rispetto al primo semestre del 2022.

Il crollo del surplus commerciale

I dati che mettono in allarme, oltre a quelli relativi alla deflazione, sono quelli riguardanti la bilancia commerciale. Calcolati sui primi sette mesi quest’anno, l’export cinese è diminuito del 5 per cento, l’import del 7,6 per cento. La bilancia resta ovviamente in attivo, ma i margini si assottigliano. Come scrive Michele Pignatelli sul Sole 24 Ore, «i dati delle Dogane cinesi hanno registrato il mese scorso una flessione annua dell’export misurato in dollari del 14,5 per cento, a 281,8 miliardi, maggiore del già negativo -12,4 per cento di giugno e peggiore delle previsioni, e un calo dell’import del 12,4 per cento (201,2 miliardi di dollari), dopo il -6,8 per cento di giugno e contro stime nettamente migliori. L’effetto combinato sulla bilancia commerciale porta a una riduzione del surplus del 20,4 per cento dal record dell’anno scorso, a 80,6 miliardi di dollari».

La diminuzione dell’export è particolarmente accentuata nei riguardi degli Stati Uniti (-23,1 per cento) e dell’Unione Europea (-20,6 per cento), ma anche l’import dalla Russia, che aveva conosciuto un’impennata dopo l’imposizione delle sanzioni occidentali a Mosca a causa dell’invasione dell’Ucraina, risulta ridimensionato (-8,1 per cento) rispetto a un anno fa.

Inflazione di fondo inchiodata

Altri tre indicatori fanno temere la stagnazione. Il primo riguarda l’inflazione di fondo, cioè quella che si calcola senza tenere conto dei costi dell’energia e dei generi alimentari: insieme all’obiettivo di una crescita del Pil del 5 per cento, il governo cinese ha fissato al 3 per cento il livello di inflazione di fondo da registrare per quest’anno; ma attualmente il dato arriva appena allo 0,8 per cento, a distanza siderale da quelli delle principali economie (il Giappone sta al 3,3 per cento, gli Usa stanno al 4,8 per cento, l’Unione Europea al 5,4 per cento, il Regno Unito al 6,9 per cento). Evidentemente i consumatori cinesi non se la sentono di spendere. Dan Wang, economista della Hang Seng Bank di Shanghai, afferma che i numeri dell’inflazione e del commercio sono «un riflesso del diminuito potere d’acquisto e della debole fiducia dei consumatori».

La crisi dell’immobiliare, il mercato che “fa il Pil”

Il secondo indicatore preoccupante riguarda il mercato immobiliare, fino a qualche anno fa tradizionale fattore di stimolo della crescita cinese. Le vendite di case nuove dei primi 100 costruttori di Cina risulta alla fine di luglio inferiore del 33 per cento al dato di un anno fa. E questo nonostante il prezzo delle case sia diminuito per sedici mesi di fila fino al dicembre dello scorso anno. Si tratta della più accentuata flessione nelle vendite di case nuove dal luglio 2022.

L’enorme industria immobiliare cinese è stata a lungo un importante motore della crescita economica del paese, rappresentando fino al 30 percento del Pil. Gli investitori considerano il rilancio del settore cruciale per la ripresa della seconda economia mondiale dopo tre anni di isolamento autoimposto dalla pandemia di coronavirus. Una serie di grossi fallimenti da parte di giganti immobiliari nel 2021 (primo fra tutti il gruppo Evergrande) ha minato la fiducia nel settore: molti acquirenti di case hanno pagato per appartamenti che non hanno mai ricevuto. Da ciò è derivata una recessione di storiche proporzioni che ha colpito il settore negli ultimi due anni.

Dopo essere diminuiti per sedici mesi di seguito i prezzi delle case si sono stabilizzati all’inizio di quest’anno, ma poi hanno ripreso il loro declino a giugno. Il mese scorso la People’s Bank of China ha dichiarato che avrebbe concesso ai costruttori altri 12 mesi per rimborsare i prestiti in essere dovuti quest’anno, e alla fine dello scorso anno Pechino ha presentato un piano in 16 punti per alleviare la crisi di liquidità nel settore immobiliare, ma i risultati non si sono visti.

Manifattura in contrazione

Il terzo fattore di preoccupazione è dato dalla contrazione della produzione manifatturiera per il quarto mese di seguito. L’indice Pmi, che viene formulato in base a sondaggi fra i responsabili degli acquisti delle aziende del settore manifatturiero, in luglio ha segnato un valore di 49,3, leggermente più alto delle previsioni degli analisti e superiore al 49 registrato nel mese di giugno, ma resta in territorio negativo: un valore inferiore a 50 indica una contrazione mese su mese, mentre uno superiore a 50 indica espansione.

Lo spettro della “recessione di bilancio”

Mentre alcuni economisti cercano di essere ottimisti, e prevedono che il governo cinese interverrà con risolutive politiche di stimolo fiscale, oppure sottolineano che per quanto riguarda la bilancia commerciale siamo di fronte in molti casi a una diminuzione del valore delle merci ma non dei volumi (quindi la flessione dell’import-export sarebbe dovuta solo alla diminuzione dei prezzi dell’energia e di altre materie prime), altri si dicono convinti che davvero la Cina stia per entrare in una stagnazione alla giapponese, che definiscono “balance sheet recession”, recessione di bilancio.

Così dichiara a Bloomberg Richard Koo, economista del Nomura Research Institute:

«Una recessione di bilancio è innescata da un senso di disagio dei responsabili per il loro bilancio, dalla sensazione che il loro debito sia troppo grande rispetto ai loro asset. E questo di solito accade dopo lo scoppio di una bolla. Se la bolla è finanziata con il debito e i prezzi degli asset crollano, ma le passività rimangono, i responsabili si rendono conto che i loro bilanci sono in perdita, e che occorre aggiustarli. Come si risolve la cosa? Pagando parte del debito. Questa è la cosa giusta da fare a livello individuale, ma quando tutti fanno tutto questo nello stesso tempo, entriamo in un errore di problemi di composizione, in quanto in un’economia nazionale, se qualcuno sta risparmiando denaro o ripagando debito, c’è bisogno che qualcun altro prenda in prestito e spenda i soldi per mantenere il corso dell’economia.

In condizioni normali, se hai troppo pochi richiedenti prestiti, abbassi i tassi di interesse, se ne hai troppi spingi i tassi di interesse più in alto, ed è così che fai andare avanti l’economia. Ma quando scoppia una grande bolla e i prezzi degli asset crollano, tutti estingueranno debito. Nessuno prenderà in prestito denaro anche a tassi di interesse pari a zero, perché se il tuo saldo è negativo, non prenderai in prestito denaro, nemmeno se i tassi di interesse scendono a zero. E questa è la prospettiva che preoccupa i cinesi.

La Cina ha avuto questa enorme bolla che è scoppiata, specialmente nel settore immobiliare. L’entità dell’aumento dei prezzi che in passato la Cina ha osservato sugli immobili residenziali è quasi la stessa di quanto accadde al Giappone 30 anni fa, a Tokyo e a Osaka. E così quando la bolla immobiliare ha iniziato a sgonfiarsi l’anno scorso, tutti gli economisti cinesi hanno iniziato a preoccuparsi di una situazione simile al Giappone, quella in cui tante persone pagano i propri debiti tutti allo stesso tempo e per questo l’economia potrebbe cadere in una spirale deflazionistica. Penso che in realtà questo stia già accadendo in Cina. Molti osservatori dicono che pochissime persone stanno prendendo denaro in prestito, mentre tante persone stanno pagando i debiti, nonostante i bassi tassi di interesse. È un pessimo segnale macroeconomico. Individualmente si potrebbe dire che fanno la cosa giusta, ma collettivamente potrebbero uccidere l’economia».

Koo ammette però che le autorità cinesi, a differenza di quelle giapponesi, sono coscienti del rischio, e cercheranno di intervenire con stimoli fiscali.

@RodolfoCasadei

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