I cambiamenti climatici? Non c’entrano nulla con le attività dell’uomo. E a dirlo non è un industriale negazionista del global warming ma un insospettabile ambientalista, che per altro del movimento green per eccellenza, Greenpeace, è stato uno dei fondatori negli anni Settanta. Si chiama Patrick Moore, è canadese e la sua voce canta fuori dal coro dell’attivismo delle associazioni che vanno per la maggiore. Ieri, durante i lavori che il Senato americano ha dedicato all’ambiente, non ha fatto altro che esplicitare, un’altra volta, la sua posizione: «Non ci sono prove scientifiche che le emissioni umane di diossido di carbonio siano la causa principale del surriscaldamento dell’atmosfera terrestre negli ultimi 100 anni. Se ce ne fosse anche solo uno sarebbe stata scritta, così che tutti la vedessero. Ma come si apprende dalla scienza, non esiste un’evidenza certa».
LE CRITICHE ALL’IPCC. Insomma, diffidare da chi afferma che il global warming e ormai un’evidenza scientifica. Per Moore sono solo ipotesi e congetture, su cui si sono erroneamente costruite politiche industriali ed ecologiche. L’esempio più lampante di questa interpretazione sbagliata è l’IPCC, il pannello scientifico che l’Onu ha costruito per monitorare i cambiamenti climatici, sostenendo da anni che «è estremamente probabile» che l’innalzamento delle temperature del globo sia legato alle attività dell’uomo. «Ma “estremamente probabile” non è un termine scientifico». E piuttosto che guardare a dati che non sono il risultato di analisi statistiche è più credibile far risalire l’aumento delle temperature all’era glaciale, «quando la Co2 era 10 volte superiore. So che i miei commenti vanno contro molte congetture sul clima di oggi, ma sono fiducioso che la storia avvalorerà la mia tesi, sia quella sull’inutilità di fare affidamento sui modelli al computer per predire il futuro, sia quella secondo cui le temperature più calde sono meglio di quelle più fredde per la maggior parte della specie».
OGM E GOLDEN RICE. Non è la prima volta che Moore si rivela ecologista atipico. Come detto, è stato tra i fondatori di Greenpeace negli anni Settanta, ma già nell’86 abbandonò il movimento ambientalista, in rotta con la svolta estremamente politica che il gruppo aveva preso. E da allora è diventato un grande critico di quello stesso movimento, che all’inizio, secondo lui, aveva la convinzione che l’uomo potesse avere la soluzione ai problemi dell’ambiente, ma che poi ha travisato le proprie posizioni individuando l’umanità come nemica della terra. Come si vede bene nell’avversione incondizionata agli Ogm, «il caso più eclatante di ecologismo fuorviato», erano le sue parole riportate pochi giorni fa dal Foglio: «Ogni sciocco sensazionalismo messo in piedi da attivisti privi di ogni cultura scientifica finisce immediatamente nel telegiornale della sera». Un mese fa ha girato l’Europa per promuovere la coltivazione del golden rice, «una coltura geneticamente modificata che può contribuire a prevenire la cecità in mezzo milione di bambini l’anno», ma che «viene respinto da questi anti-umanità, che danno la precedenza alle proprie paure infondate invece che alla povertà nel mondo. L’Unicef stima che ogni anno due milioni di bambini muoiano per la mancanza di vitamina A. Il loro sangue è sulle mani di chi rende impossibile usare il golden rice».