Un suono di base con riferimenti al “nu-folk” inglese dei Mumford & Sons, reminiscenze anni ’70 dei Pentangle e dei Fairport Convention, un pizzico del primo Elton John, quello di “Tumbleweed Connection”, per capirci; echi dell’Eddie Vedder di “Into the Wild”, tributi al suono classico dei REM, non a caso il chitarrista del gruppo Peter Buck è della partita; aggiungiamoci pure atmosfere alla Cat Stevens ed ecco fatto il cocktail musicale più fresco di questo inizio 2011. Stiamo parlando del gruppo americano dei Decemberists che ha felicemente licenziato un album che si è subito imposto all’attenzione della critica ed è attualmente in cima alle prenotazioni del negozio virtuale di Amazon.
“The King is Dead”, questo è il titolo del lavoro, è un esempio riuscito di musica “bio”, non gonfiata, cioè, dai suoni geneticamente modificati che invadono quotidianamente le playlist dei network radiofonici. Ariose ballate acustiche, divertenti riff pescati dalla tradizione irish, un percorso di titoli per nulla noioso che conferma il trend che è ormai marchio di fabbrica per gruppi e artisti vecchi e nuovi: il recupero delle radici popolari del rock.
Qui siamo dalle parti del folk-rock più leggero e fruibile, leggero ma non banale, che non aggiunge nulla di nuovo, ma che si vota all’evoluzione sempre più acustica che da mesi assistiamo nelle uscite discografiche anglo-americane. Tra un rincorrersi di mandolini, chitarre, violini, fisarmoniche e belle voci, una serie di brani da ascoltare al crepitìo di un camino acceso aspettando le feste sull’aia ai primi tepori primaverili.