Ieri sera ho visto alla televisione il dibattito in Wisconsin tra i candidati del partito democratico per la nomination presidenziale. (Le primarie si terranno domani, e quando leggerete questo articolo saprete già il risultato. Per quanto riguarda il dibattito, è abbastanza chiaro che John Kerry ha praticamente in mano la nomination, e gli altri candidati lo sanno benissimo. John Edwards è stato bravo a mantenere vivo l’interesse nei suoi confronti, ma Howard Dean sembrava essere ormai sul punto di ammainare le vele e prepararsi a trovare un modo per sostenere Kerry).
Sebbene le conseguenze dell’11 settembre siano state discusse in modo alquanto marginale, non c’è dubbio che è questo il tema che, a questo punto della campagna elettorale, divide i candidati repubblicani da quelli democratici. L’implicita domanda che si devono porre gli elettori è la seguente: «Ritieni che l’11 settembre abbia sostanzialmente mutato l’American way of life e quindi anche il modo in cui il paese deve rispondere alle proprie divisioni economiche e culturali; oppure pensi che la minaccia del terrorismo è soltanto uno dei molti problemi che dobbia-mo affrontare, e probabilmente nemmeno il più importante?». Se sei convinto che la guerra contro il terrorismo debba essere la priorità fondamentale della nazione nei prossimi anni, devi senza dubbio votare per i repubblicani, indipendentemente dalle tue opinioni politiche su altre questioni. Se invece credi che la minaccia del terrorismo sia importante, ma non il punto essenziale di queste elezioni, sei libero di votare per entrambi i partiti, a seconda delle tue preferenze economiche e culturali.
Kerry ha dichiarato esplicitamente che sposa la seconda visione delle priorità nazionali: la guerra contro il terrorismo è importantissima, ma non deve rappresentare il punto di partenza della politica attuale. Altre questioni sono altrettanto decisive, come in particolare l’aumento della disoccupazione (essenziale in questo caso una revisione o una eliminazione degli accordi commerciali come il Nafta e il Wto), il sistema sa-nitario, quello dell’istruzione e il problema ambientale. è inte-ressante notare che le cosiddette “questioni culturali” – aborto, femminismo, omosessualità – non hanno avuto alcuna parte nel dibattito di ieri. I matrimoni gay sono stati menzionati, e Kerry ha detto di essere contrario, ma ribadendo che la soluzione doveva essere lasciata agli Stati. Sembra che la maggior parte del popolo americano la pensi esattamente nello stesso modo.
Conclusione: George Bush deve stare molto attento. La strategia repubblicana è quella di fare della minaccia terroristica la questione principale, presentando Kerry come un tipico liberal del Massachusetts, lontanissimo dalla sensibilità dei veri americani e completamente legato ai suoi sostenitori culturalmente radical. Ma Kerry lo sa, e non è come Mike Dukakis. Non è neppure un nuovo Clinton (tranne che per le sue politiche economiche, in riferimento alle quali dichiara orgogliosamente che i suoi consiglieri sono gli stessi di Clinton). Senza dubbio continuerà a ricordare al paese le proprie iniziali: Jfk.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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