Il Sinodo valdese che si svolge annualmente a Torre Pellice è stato particolarmente interessante perché parallelo all’Assemblea battista e con apertura e parte dei dibattiti congiunti. Per una settimana le comunità valdo-metodiste e battiste hanno discusso questioni di fede ma anche di gestione (ospedali, centri sociali) e di attività comuni (stampa, preghiera) in quelli che sono di fatto due parlamenti e costituiscono le loro massime autorità (terrene). Il tempio valdese di Torre Pellice, pur essendo la più grande chiesa delle Valli valdesi, non era abbastanza capace e gli organizzatori hanno perciò deciso di usare lo stadio del ghiaccio, orgoglio della popolazione appassionata di hockey e pronto per le Olimpiadi invernali del 2006. Purtroppo il palazzetto che ci aveva ospitati in duemila, compresi i rappresentanti di molte altre Chiese uniti in preghiera e nella consacrazione dei nuovi pastori, è stato distrutto dall’alluvione di ottobre. Davanti a me avevo i rappresentanti delle Chiese luterana, cattolica romana e greco-ortodossa. Dietro stavano il rappresentante del Consiglio mondiale delle Chiese, il Moderatore della Chiesa riformata unita inglese e il Moderatore della Chiesa di Scozia (presbiteriana), parato a festa nonostante il caldo soffocante, esattamente come si veste quando incontra la regina Elisabetta, nel cui castello scozzese di Balmoral si è infatti recato subito dopo la puntata valdese. Tutt’intorno membri delle varie comunità evangeliche italiane dalle Alpi alla Sicilia e rappresentanti e osservatori europei e extra.
Italy, I love you
Io, nata e cresciuta tra i valdesi delle Valli e di Torino, di padre siciliano – i suoi nonni erano stati tra i fondatori di una delle prime comunità evangeliche dell’isola dopo l’Unità – ero “ospite straniera” rappresentante del Comitato di solidarietà e sostegno alla Chiesa valdese che dirigo in Inghilterra e che risale all’intervento di Cromwell contro le persecuzioni. Come sempre in queste occasioni mi sento tagliata in due, quando non in quattro o otto. Rappresento sì il comitato inglese e da 22 anni il Regno Unito è diventato la mia patria adottiva e d’elezione, ma l’Italia mi è sempre nel cuore e i problemi di casa mi fanno soffrire e gioire come se non forse più di prima. Non posso quindi astenermi dal paragonare il comportamento della Chiesa cattolica in Italia e nel Paese in cui vivo e, allo stesso tempo, di paragonare le Chiese protestanti del Paese in cui vivo con quelle italiane. La chiave di tutto probabilmente sta proprio in questo modesto, piccolo plurale che però è alla base di pluralità e pluralismo e che tanto separa la realtà britannica da quella italiana. E che rende il Regno Unito particolarmente ben attrezzato per far fronte alla realtà della globalizzazione da tutti i punti di vista, dove multi e pluri non sono prefissi augurali bensì riflessione di una situazione in atto che può piacere o meno, ma non si può cambiare e, anzi, è destinata a progredire in questo senso. I miei amici cattolici in Inghilterra mi dicono che quando la messa in “volgare” ha rivelato che, tutto sommato, tutti i cristiani dicono e vogliono la stessa cosa, sono cadute barriere, differenze e soprattutto diffidenze. Amici protestanti stranieri sono invece sbalorditi dal fatto che in Italia fior di cristiani e perfino ministri di culto chiedano loro se anglicani o luterani siano cristiani. E che per politici e media, quasi immancabilmente cattolico sia sinonimo di cristiano, così come la Chiesa è immancabilmente una, quella cattolica apostolica romana. Il che è interessante perché invece in Gran Bretagna la parola “cristiano” in generale significa protestante di non importa quale denominazione, mentre i cattolici, soprattutto quelli più tradizionalisti, si definiscono in base alla loro “differenza”.
A messa non si guarda l’orologio
Dove vivo, a Cambridge, ci sono varie attività permanenti di ecumenismo concreto, a cominciare dal fatto che tutte le facoltà di teologia sono interdenominazionali (ma vi si studia anche il Corano) e che possono frequentarle anche non cristiani. Un college cattolico avrà in prevalenza studenti cattolici, ma non necessariamente e comunque gli insegnanti rotano in base alla loro specialità. Rotano pure ministri di culto e predicatori. Nella chiesa metodista che frequento, almeno due volte all’anno predica un sacerdote cattolico, oltre a ministri anglicani, riformati, battisti… Una volta un prete cattolico esordì: “Magnifico, oggi posso parlare tranquillo senza che nessuno si metta a guardare l’orologio, come invece succede tra i miei parrocchiani”. A fine ottobre in un culto serale unitario in ricorrenza dell’apertura del “One World Week”, la settimana di celebrazione di “Un solo Mondo”, siamo stati allietati da un coro nero di Londra, mentre ha predicato un prete cinese cattolico. I giovani dell’Università hanno aperto la Bibbia e acceso la candela più grande e poi a turno, alzandosi dalla congregazione un rappresentante di ognuno dei continenti ha acceso unadelle candele più piccole. Abbiamo intonato vari inni, tra cui uno di Taizè e la colletta è andata a Christian Aid, in aiuto dei paesi in via di sviluppo. Dopo, sorbendo una tazza di tè con biscottini, (come potrebbe mancare in Inghilterra?) ho salutato amici della United Reformed Church (in particolare un ex moderatore e un ex Rettore della Facoltà di Teologia) e della Chiesa battista.
Papà, che significa “monk”?
Infine c’e’ l’educazione; esiste una materia anche al liceo che si chiama Religious Studies in cui si studiano e comparano le religioni, anche quelle meno conosciute. I ragazzini a scuola, con l’apporto quasi sempre disponibile di membri di quella comunità, apprendono qualcosa delle grandi fedi e spesso i genitori si lamentano che sanno più della religione altrui che della loro. Al che la risposta è: la vostra religione gliela impartite voi a casa e nel vostro luogo di culto. Famoso è il caso di quel bambino che giocando a scarabeo trovò la parola “monk”, monaco e il padre gli chiese se sapesse che cosa fosse e il bimbo rispose “Un buddista vestito di arancione.”. Da un posto così pluri e multi credo di poter dire di capire paure e perplessità dei cattolici romani tradizionalisti; forse per loro una realtà come Cambridge dove su 120.000 abitanti ci sono ben 22 confessioni cristiane diverse è peggio di un incubo. Ma una gran parte della popolazione non va in nessuna chiesa, né in nessuna sinagoga (ce ne sono tre diverse, non solo come edifici, ma come corrente di pensiero) moschea o tempio. La maggior parte della gente adora Mammona e si riversa nei suoi templi, supermercati e centri commerciali e questo è il terreno in cui i credenti dovrebbero agire e il punto comune da cui partire. Del resto per chi non crede o appartiene a una diversa religione siamo tutti uguali. Lo so che a un cattolico italiano non avvezzo all’ecumenismo la cosa può far venire un colpo. Come me lo fan venire quelli che, non essendo cristiani, non vedono differenze tra il protestantesimo più sobrio e il più barocco cattolicesimo. Un’anziana predicatrice laica metodista, vedova di un pastore e gran viaggiatrice, mi diceva anni fa che capiva il mio rigore e il mio rifiuto per i facili “embrassons-nous ecumenici”, ma anche che “a livello di base”, tra credenti, specie in certe circostanze, si capisce che siamo davvero una sola fede. “…Dopo mesi che non parlavo e non vedevo un cristiano ne ho finalmente incontrato uno, un giovane cattolico. Non puoi credere la felicità di entrambi e ti assicuro che poche volte mi sono sentita vicina a qualcuno come a quel fratello!”.
L’importante, a messa, è trovarsi a proprio agio
Termino con altre due storielle sempre di Cambridge e sempre di amiche, a mio parere esemplari e che spero aiutino i cattolici intransigenti e spaventati per il futuro, come hanno aiutato me, protestante intransigente e arroccata anche per via delle esperienze di infanzia e giovinezza. Una microbiologa nativa di Grenada, indiana di etnia – ma di accento e modi che più inglesi non è possibile – mi diceva di esser cresciuta nella fede presbiteriana scozzese. Sua madre però era cattolica, ma aveva scelto quella per il semplice motivo che era la chiesa cristiana più vicina. Beate, invece, cattolica tedesca, amica della mia amica Helen, anglicana sposata a un cattolico di origine irlandese e che va quasi sempre a messa (come Tony Blair) cercava una chiesa in cui “trovarsi bene loro e i figli”. Il marito neozelandese è protestante, non ricordo di quale denominazione. Da poco a Cambridge, ogni volta che andavo in una chiesa diversa, vi incontravo Beate che si scusava temendo che giudicassi il suo atteggiamento “da supermercato” il scegli e mischia, come si dice. Ora so che ha trovato una comunità anglicana “bassa”, simile a quella battista e che si trovano tutti bene. E su questa nota chiudo. Forse il futuro – ma chissà quanto tempo e quante guerre e quanti massacri ancora prima di arrivare a questo ovunque! – sarà proprio così: ognuno sceglierà non solo un predicatore o predicatrice che gli garbi e una comunità in cui si trovi bene ma forse anche una confessione, addirittura una fede in cui più si ritrovi senza obblighi ereditari o di razza o di nazionalità, senza timore che alla mamma venga un colpo se sposa una persona di religione diversa o se abbraccia un altro rito o credo… A proposito, una coppia di amici metodisti (lui era Principal della Facoltà di teologia metodista, in cui come ho detto studiano anche cattolici) ha un figlio che si è fatto monaco francescano-anglicano. Come reagirei io se una figlia si facesse suora cattolica, mio figlio diventasse buddista e la figlia piccola sikh o musulmana? Perché il fatto che uno si dichiari ateo o agnostico fa meno male? Visceralmente mi sentirei tradita; in Inghilterra in generale, invece, l’atteggiamento è: meglio una qualsiasi confessione cristiana e persino una qualsiasi fede che atei.