L’uso improprio di termini e definizioni riferite all’islam costituisce spesso la via attraverso cui passa una cattiva informazione.
L’uso della parola “religione”, se riferita all’islam, coincide solo in parte con quella tradizionale del cristianesimo. Islam è una parola araba che deriva, così come muslim, dal verbo aslama, che significa “sottomettersi interamente a Dio, darsi nelle sue mani, rassegnarsi alla sua volontà”. Musulmano corrisponde abbastanza esattamente alla parola italiana oblato, per quanto essa sia desueta. “Quando diciamo religione, nel caso dell’islam dobbiamo abbandonare il concetto di religione a cui siamo abituati, atei o credenti, nel nostro mondo tradizionalmente cristiano – afferma l’islamista Alessandro Bausani -. Per l’islam, infatti, la religione è qualcosa che abbraccia sia la nostra religione sia la nostra politica, è regola di vita, legge, mentre le mancano le connotazioni sacerdotali-ritualistiche essenziali alla nostra nozione di “religione””.
Sull’opportunità di evitare i termini “fondamentalismo” e “integralismo” islamico, e di preferire “radicalismo”, esiste ormai un certo consenso tra gli studiosi. “Il termine fondamentalismo… – scrive Montgomery Watt – è inesatto. Si tratta di un termine essenzialmente anglosassone e protestante che si riferisce in particolare a coloro che ritengono che la Bibbia debba essere accettata e interpretata letteralmente”.
Gihad, generalmente tradotto “guerra santa”, è forse il termine più abusato dai media. Esso proviene dalla radice giahada che significa “sforzarsi”. La parola indica la lotta che il musulmano deve compiere anzitutto con se stesso per seguire il cammino di Dio (cosiddetto “grande” gihad) e, come conseguenza, per allargare i confini dell’islam (“piccolo” gihad).