DAL NOSTRO INVIATO IN IRAQ. Albert Ghiso si ricompone meglio che può e sistema lentamente la mimetica. È stato insieme ai suoi uomini per tutto il turno di guardia notturno, e avrebbe certamente preferito affrontare il giornalista qualche ora più tardi. Baqofa è il villaggio cristiano più prossimo alla linea del fronte con le forze dell’Isis, è stato riconquistato dai peshmerga il 16 agosto insieme alla vicina e più grande e popolosa Teleskoff dopo dieci giorni di occupazione da parte dei jihadisti, e adesso a pattugliare le strade e a tenere la posizione ad appena chilometri e mezzo dalla prima linea ci sono anche loro: gli armati cristiani di Dwekh Nawsha. La parola in aramaico significa “coloro che si sacrificheranno”, ed è il nome che si è dato il gruppo di autodifesa cristiano nato all’indomani dell’attacco del Daesh alla Piana di Ninive e del suo tentativo di annessione di tutta la regione abitata da venti secoli dai cristiani assiri al califfato di al Baghdadi.
Per ora sono solo 200 uomini, provenienti dalle file delle guardie di villaggio della regione, dell’esercito iracheno e di alcuni partitini cristiani assiri. Le armi e le altre dotazioni consistono in kalashnikov per tutti, alcune mitragliatrici pesanti e giubbotti antiproiettile. «Ce le siamo comprate noi coi nostri soldi», spiega Ghiso. Ma l’abnegazione supplisce ai numeri e agli armamenti limitati: «Abbiamo trascorso il Natale qui, lontano dalle famiglie, in servizio. Però abbiamo passato bene il tempo insieme». Dovrebbe testimoniarlo l’alberello di Natale che incombe in alto alla sinistra della testa del comandante, alla stessa altezza a cui sono collocati due immagini sacre: un quadro della Sacra Famiglia e uno che riproduce un Cristo benedicente. Il contrasto è netto con quel che sta sotto: uomini in carne ed ossa dotati di armi automatiche e protetti da spessi giubbotti antiproiettile.
A fare da collegamento fra il cielo e la terra una grande bandiera assira: al centro ci sono il sole e la terra, rappresentati rispettivamente da una sfera dorata e da una stella a quattro punte azzurra; quattro strisce tricolori ondulate si dipartono dal centro verso i quattro angoli del drappo, allargandosi sempre più. I colori rosso, bianco e blu rappresentano i tre grandi fiume dell’Iraq: Tigri, Eufrate e Grande Zab. Gli stemmi sulle maniche delle divise riproducono gli stessi motivi, con aggiunta di kalashnikov sovrapposti.
L’audacia dei peshmerga è proverbiale, ma nelle condizioni attuali una controffensiva non è pensabile. Le voci che circolano dicono che l’attacco per la riconquista di Mosul non partirà prima dell’inizio della primavera. Intanto qua i jihadisti sono talmente vicini che nelle ricetrasmittenti dei Dwekh Nawsha e dei peshmerga si sentono le loro voci e si ascoltano le loro comunicazioni. Parlano in arabo e sembrano molto rilassati. Dall’alto della palazzina parrocchiale è possibile scorgere, con l’aiuto di un teleobiettivo, la bandiera nera del califfato issata sulla torre dell’acquedotto a Batnaya, due chilometri e mezzo di distanza da noi. «Il primo obiettivo è liberare le terre dei cristiani e degli yazidi occupate in agosto, e lo faremo».
Prima di diventare un villaggio fantasma Baqofa era cristiana caldea al 100 per cento. Qui vivevano 60 famiglie quasi tutte di contadini. Intorno si vedono solo distese di campi verdi per le foglioline del frumento appena spuntato e marroni per la sottostante terra fertile della pianura. Siamo nel cuore del granaio dell’Iraq e dell’umanità: l’agricoltura è nata seimila anni fa da queste parti. Quando Teleskoff è stata liberata, la gente è tornata per lavorare i campi. Ma dopo pochi giorni un contadino è morto nell’esplosione del suo trattore, che ha urtato un ordigno lasciato dall’Isis nel bel mezzo di un terreno agricolo. I jihadisti hanno lasciato trappole esplosive ovunque, dagli edifici delle due località ai campi di frumento.
Proprio in quel momento si sente un’esplosione forte e secca lontano. Un aereo della coalizione ha lanciato il suo missile in qualche punto davanti a noi, in direzione di Mosul (che dista 30 chilometri). Un giovane peshmerga agita il suo fucile mitragliatore americano in segno di soddisfazione. «Quando ci sarà la controffensiva, parteciperemo anche noi Dwekh Nawsha, sotto il comando dei nostri capi e in coordinamento coi peshmerga», dice Ghiso. Quindi bacia l’immaginetta della Madonna che schiaccia il serpente sotto lo sguardo di san Massimiliano Kolbe e di san Francesco nella quale è incastonata la medaglia miracolosa di santa Caterina Labouré. Gliene abbiamo portate una quarantina dall’Italia da distribuire fra i suoi uomini. Bacia l’immagine e se la porta al cuore.
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