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Iraq. Passaggio a Baqofa, tra le milizie cristiane che difendono il villaggio caldeo strappato allo Stato islamico – VIDEO

Parla il comandante Ghiso, a capo di un gruppo di volontari del Dwekh Nawsha: «Abbiamo trascorso il Natale qui, lontano dalle famiglie, in servizio»

Rodolfo Casadei
31/12/2014 - 3:30
Esteri
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DAL NOSTRO INVIATO IN IRAQ. Albert Ghiso si ricompone meglio che può e sistema lentamente la mimetica. È stato insieme ai suoi uomini per tutto il turno di guardia notturno, e avrebbe certamente preferito affrontare il giornalista qualche ora più tardi. Baqofa è il villaggio cristiano più prossimo alla linea del fronte con le forze dell’Isis, è stato riconquistato dai peshmerga il 16 agosto insieme alla vicina e più grande e popolosa Teleskoff dopo dieci giorni di occupazione da parte dei jihadisti, e adesso a pattugliare le strade e a tenere la posizione ad appena chilometri e mezzo dalla prima linea ci sono anche loro: gli armati cristiani di Dwekh Nawsha. La parola in aramaico significa “coloro che si sacrificheranno”, ed è il nome che si è dato il gruppo di autodifesa cristiano nato all’indomani dell’attacco del Daesh alla Piana di Ninive e del suo tentativo di annessione di tutta la regione abitata da venti secoli dai cristiani assiri al califfato di al Baghdadi.

iraq-baqofa-bandiera-milizie-cristiane-dwekh-nawsha-kPer ora sono solo 200 uomini, provenienti dalle file delle guardie di villaggio della regione, dell’esercito iracheno e di alcuni partitini cristiani assiri. Le armi e le altre dotazioni consistono in kalashnikov per tutti, alcune mitragliatrici pesanti e giubbotti antiproiettile. «Ce le siamo comprate noi coi nostri soldi», spiega Ghiso. Ma l’abnegazione supplisce ai numeri e agli armamenti limitati: «Abbiamo trascorso il Natale qui, lontano dalle famiglie, in servizio. Però abbiamo passato bene il tempo insieme». Dovrebbe testimoniarlo l’alberello di Natale che incombe in alto alla sinistra della testa del comandante, alla stessa altezza a cui sono collocati due immagini sacre: un quadro della Sacra Famiglia e uno che riproduce un Cristo benedicente. Il contrasto è netto con quel che sta sotto: uomini in carne ed ossa dotati di armi automatiche e protetti da spessi giubbotti antiproiettile.

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A fare da collegamento fra il cielo e la terra una grande bandiera assira: al centro ci sono il sole e la terra, rappresentati rispettivamente da una sfera dorata e da una stella a quattro punte azzurra; quattro strisce tricolori ondulate si dipartono dal centro verso i quattro angoli del drappo, allargandosi sempre più. I colori rosso, bianco e blu rappresentano i tre grandi fiume dell’Iraq: Tigri, Eufrate e Grande Zab. Gli stemmi sulle maniche delle divise riproducono gli stessi motivi, con aggiunta di kalashnikov sovrapposti.

iraq-baqofa-peshmega-rodolfo-casadei_kPoche vie più in là della base operativa di Dwekh Nawsha c’è il distaccamento dei peshmerga, proprio all’angolo con la chiesa di San Giorgio. Alloggiano in una palazzina annessa alla parrocchia utilizzata normalmente per le catechesi, le feste e i funerali. Sono una decina di uomini guidati dal più giovane fra loro: un quarantenne tornato qui dopo 10 anni da lavoratore emigrato in Germania. «Due notti fa il Daesh ci ha attaccati, hanno lanciato colpi di mortaio sui nostri compagni di stanza a Teleskoff (che dista un chilometro in linea d’aria da Baqofa, ndr) e hanno tentato una sortita. Ma noi non abbiamo certo paura. Se Barzani ci dà l’ordine, attacchiamo Batnaya e andiamo fino a Mosul».

L’audacia dei peshmerga è proverbiale, ma nelle condizioni attuali una controffensiva non è pensabile. Le voci che circolano dicono che l’attacco per la riconquista di Mosul non partirà prima dell’inizio della primavera. Intanto qua i jihadisti sono talmente vicini che nelle ricetrasmittenti dei Dwekh Nawsha e dei peshmerga si sentono le loro voci e si ascoltano le loro comunicazioni. Parlano in arabo e sembrano molto rilassati. Dall’alto della palazzina parrocchiale è possibile scorgere, con l’aiuto di un teleobiettivo, la bandiera nera del califfato issata sulla torre dell’acquedotto a Batnaya, due chilometri e mezzo di distanza da noi. «Il primo obiettivo è liberare le terre dei cristiani e degli yazidi occupate in agosto, e lo faremo».

Prima di diventare un villaggio fantasma Baqofa era cristiana caldea al 100 per cento. Qui vivevano 60 famiglie quasi tutte di contadini. Intorno si vedono solo distese di campi verdi per le foglioline del frumento appena spuntato e marroni per la sottostante terra fertile della pianura. Siamo nel cuore del granaio dell’Iraq e dell’umanità: l’agricoltura è nata seimila anni fa da queste parti. Quando Teleskoff è stata liberata, la gente è tornata per lavorare i campi. Ma dopo pochi giorni un contadino è morto nell’esplosione del suo trattore, che ha urtato un ordigno lasciato dall’Isis nel bel mezzo di un terreno agricolo. I jihadisti hanno lasciato trappole esplosive ovunque, dagli edifici delle due località ai campi di frumento.

iraq-baqofa-chiesa-san-giorgioIl parroco di Baqofa padre Hormisda, che è pure monaco del monastero antoniano di Alqosh a 10 chilometri da qui, ci accompagna prima dentro al cortile della chiesa di San Giorgio, che coincide col più antico dei due cimiteri del villaggio, e poi dentro all’edificio stesso. La chiesa non ha subìto razzie durante l’occupazione e i registri parrocchiali così come gli oggetti liturgici sono stati evacuati per tempo, ma ovunque regna il disordine dell’abbandono e della fuga. «Qui l’ultima Messa è stata celebrata da me il 6 agosto, festa della Trasfigurazione, poi la notte stessa tutti sono dovuti fuggire per la notizia dell’attacco del Daesh. Il sacrestano e altri cristiani hanno messo in salvo il Santissimo e le altre cose. Adesso è zona di operazioni militari, anche dopo la liberazione non si può tornare a vivere: l’Isis è laggiù a Batnaya, la gente viene soltanto per portare via qualche suppellettile lasciata nelle case e per vedere se non è caduta una bomba sulla loro abitazione».

Proprio in quel momento si sente un’esplosione forte e secca lontano. Un aereo della coalizione ha lanciato il suo missile in qualche punto davanti a noi, in direzione di Mosul (che dista 30 chilometri). Un giovane peshmerga agita il suo fucile mitragliatore americano in segno di soddisfazione. «Quando ci sarà la controffensiva, parteciperemo anche noi Dwekh Nawsha, sotto il comando dei nostri capi e in coordinamento coi peshmerga», dice Ghiso. Quindi bacia l’immaginetta della Madonna che schiaccia il serpente sotto lo sguardo di san Massimiliano Kolbe e di san Francesco nella quale è incastonata la medaglia miracolosa di santa Caterina Labouré. Gliene abbiamo portate una quarantina dall’Italia da distribuire fra i suoi uomini. Bacia l’immagine e se la porta al cuore.

@RodolfoCasadei

Leggi anche gli altri articoli dell’inviato di Tempi tra i profughi cristiani in Iraq: Natale a Erbil e l’intervista a Nicodemus Daoud Matti Shara, arcivescovo metropolita di Mosul e di tutto l’Iraq settentrionale

Tags: al-baghdadialqoshCaliffatoCristianiCristiani PerseguitatiDaeshDwekh NawshaIraqisilIsisjihadjihadistikurdistanmilizie cristianemosulnatalepeshmergaPiana di NiniveStato Islamicoyazidi
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