Monsignor Fouad Twal non è un personaggio comune. Non solo perché, come vescovo di Tunisi – e, dal 1995, Arcivescovo a titolo personale – rappresenta il primo presule beduino in Nord Africa dopo svariati secoli. Colpiscono da subito in lui l’umanità vivace e quella semplicità di sguardo propria delle popolazioni nomadi del deserto.
Non a caso la sua è la famiglia più eminente di una della prime tribù giordane convertite al cristianesimo. “I Twal hanno dato alla Chiesa, in tempi recenti, almeno 10 preti e una ventina di suore. In effetti la mia tribù è stata tra le prime a convertirsi al cristianesimo in Giordania. Ben sei secoli prima dell’arrivo dell’Islam. Anzi, siamo stati proprio noi ad accogliere il profeta dei musulmani Maometto. Con lui, fianco a fianco, abbiamo combattuto contro i bizantini. Paradossalmente abbiamo ricevuto come un dono di Dio l’arrivo di questo arabo: insieme potevamo liberarci da una soffocante oppressione”.
E il profeta dell’Islam non si dimenticò della vecchia amicizia, neppure in seguito, quando il suo esercito conquisterà all’Islam il Nord Africa: “Alla mia tribù vennero concessi importanti privilegi. Innanzitutto quello di rimanere cristiana: non dovevamo pagare le tasse come tutti gli altri “infedeli” – una misura che altrove determinò conversioni in massa: i beduini sono gente semplice, poco avvezza alle elucubrazioni teologiche; credono in Dio, nel Cielo e nell’Inferno, hanno il dovere dell’ospitalità e del rispetto della parola data. Ebbene farsi musulmani, a quel tempo, non significava altro: credere in Dio, nel Cielo, nell’Inferno e nei profeti, compresi Gesù e Maometto… un profeta in più o in meno non sembrava un problema. Maometto ci ha poi riconosciuto il governatorato della città di Karak, a sud della Giordania – durato fino al 1911, quando i turchi ce l’hanno sottratto.
Avevamo anche un privilegio singolare, un segno di rispetto per il nostro Credo: se un musulmano ripudiava la moglie (ripetendo per tre volte “Io ti ripudio”) in presenza di un membro della nostra famiglia, il divorzio era invalido. E sono tante le donne che grazie a noi si sono salvate dalla rovina”.
Da circa un secolo e mezzo le tribù nomadi giordane si sono sedentarizzate. “È arrivato dall’Italia un missionario veneto, don Giuseppe Manfredi. È stato lui a riunire tutte le famiglie cristiane: ha creato una parrocchia vivendo con noi sotto le tende e spostandosi nel deserto. Grazie a lui abbiamo anche scoperto di essere separati da Roma: nessuno, in verità, aveva mai chiesto il nostro parere… abbiamo allora abbracciato il rito latino e oggi facciamo capo al patriarca latino di Gerusalemme (insieme a Transgiordania, Palestina, Israele e Cipro).
Attualmente la mia famiglia vive a Madaba, sull’altopiano di Moab a sud di Amman, a cavallo tra il monte da cui Mosé guardò la Terra Promessa – senza potervi entrare – e il luogo dove è stato decapitato San Giovanni Battista. Quindi viviamo in mezzo a due giganti della preghiera e della fede”.
Madaba è diventata famosa dopo il ritrovamento dei suoi preziosi mosaici del VI secolo, che rappresentano la prima cartina completa di Gerusalemme e della Palestina, dove è stata fissata la geografia storica dei racconti biblici ed evangelici. I mosaicisti di Madaba erano molto attivi e le vecchie abitazioni del villaggio custodivano i segni della loro arte.
“Anche la mia casa di famiglia: purtroppo nessuno di noi ne aveva mai colto l’immenso valore storico. Nel corso degli anni arrivavano regolarmente studiosi occidentali per visitarli: noi li accoglievamo e offrivamo loro the alla menta, prima di congedarli. Un bel giorno sono arrivati alcuni funzionari statali. Da allora la mia famiglia ha dovuto sistemarsi in una nuova abitazione: oggi la mia vecchia casa è il Museo di Madaba…”.
In Giordania, comunque, i rapporti tra cristiani e musulmani rimangono a tutt’oggi ottimi.
“Pur costituendo una minoranza della popolazione (il 4%), noi cristiani non ci sentiamo affatto stranieri, anzi siamo consapevoli di essere i veri abitanti del paese, visto che occupavamo il suo territorio cinque secoli prima dell’arrivo dell’Islam. Non conosciamo dunque tensioni religiose. Sarà che – cristiani e musulmani – siamo uniti dalla lingua e da un forte senso di appartenenza alla nostra terra: amiamo la Giordania.
La minoranza cristiana gode oggi di una rappresentanza di circa il 10% in Parlamento e non gli mancano mai i ministri. Attualmente l’ambasciatore giordano presso il Quirinale appartiene alla mia famiglia: è il più giovane ambasciatore del paese”.