Ma quanto tempo – giorni, mesi, anni – abbiamo perso a parlare della “Repubblica delle intercettazioni”, dell’invasività del trojan, della gogna mediatico giudiziaria e di un sistema perverso tutto intento a spiarci dal buco della microfono del telefonino?
Dopo anni a discutere sulla liceità dei sistemi di spionaggio dei cellulari e sulla divulgazione delle conversazioni, è stata trovata la soluzione: basta dire che si è perso il telefono. Basta dire che è stato smarrito e tutto sarà perdonato, nulla sarà reso noto.
Un particolare eclatante
Succede questo: il cronista della Verità Giacomo Amadori ha raccontato sul quotidiano le ultime vicende del caso “Loggia Ungheria”. Una storia complessa, per molti versi poco chiara (qui trovate un riassunto) e che vede coinvolti alcuni importanti magistrati italiani (Piercamillo Davigo e Francesco Greco su tutti).
Senza farla tanto lunga, Amadori racconta che, mentre è in via d’archiviazione la posizione dell’ex Procuratore della Repubblica di Milano Greco, finito indagato a Brescia per omissione di atti d’ufficio per il caso dei verbali dell’avvocato Piero Amara su una presunta loggia, viene reso noto un particolare «eclatante».
Telefonini smarriti
La Procura di Brescia, infatti, per verificare alcune dichiarazioni di Davigo, aveva bisogno di ricostruire le conversazioni telefoniche tra Greco e il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi. Solo che non è stato possibile. Perché?
A questo proposito Amadori riporta un’annotazione del procuratore di Brescia, Francesco Prete, che dice così: «Non è stato possibile rinvenire sul telefono del procuratore Salvi il contenuto di quel messaggio in quanto lo stesso procuratore ha dichiarato di aver smarrito l’apparecchio che aveva all’epoca» e «anche sul versante del procuratore Greco la ricerca è stata infruttuosa avendo questi a sua volta cambiato telefono dopo maggio 2020. Non vi è conferma quindi che Greco si sia indotto a effettuare le iscrizioni in quanto sollecitato dal procuratore generale della Cassazione».
Riassume Amadori: «Dunque la prova che avrebbe potuto dare ragione a Davigo e Storari non si è trovata perché due alti magistrati hanno dichiarato a verbale di aver perso ogni traccia del contenuto dei rispettivi cellulari. Cioè nel luglio e nel settembre 2021 entrambi non avevano più il telefonino che usavano nel maggio del 2020 e non avevano più neanche la copia del contenuto».
Fosse successo a un politico
Titolava ieri il Riformista di Piero Sansonetti: “Loggia Ungheria ops… Greco e Salvi hanno perso il cell. Vabbè succede. Inchiesta chiusa”. In effetti, come non rallegrarsene? Solo una domanda si poneva Sansonetti: «Ma secondo voi che cosa sarebbe successo se a perdere il cellulare fosse stato magari un cittadino comune o addirittura un politico? A occhio e croce, in base all’esperienza, la scomparsa del cellulare sarebbe stata considerata prova certa di colpevolezza. Per fortuna i magistrati di Brescia sono garantisti».
Anche noi siamo garantisti e ci immaginiamo che, d’ora in poi, nessuno farà più domande se un politico – chessò, un governatore – perdesse qualcosa – chessò, degli scontrini. Se un magistrato può perdere un telefono, un politico non può smarrire degli scontrini? O c’è una questione di pesi e misure diverse?
Comunque, alla fine, prevale il sollievo. D’ora innanzi non dovremo più impiegare giorni, mesi e anni a discutere di riforme delle intercettazioni. È tutto risolto, la soluzione era così semplice che bastava un po’ di disattenzione e sbadataggine nella cura del proprio cellulare per risolvere tutto.
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