Il terremoto devasta Turchia e Siria. «È una catastrofe, ci serve aiuto»
«È il più grande disastro in Turchia dal 1939». Così il presidente Recep Tayyip Erdogan ha definito il terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito ieri il paese, insieme alla Siria. Nel sisma di Erzincan del 1939 morirono 33 mila persone. In quello di ieri, secondo stime ancora parziali, ne sono morte più di 5.000, almeno 3.549 in Turchia e 1.602 in Siria. Ma il numero è destinato a salire.
Turchia: il palazzo sbriciolato e la cattedrale distrutta
Il terremoto ha avuto il suo epicentro nella provincia di Gaziantep, nel sud-est della Turchia, dove sono rifugiati circa 500 mila siriani sfollati dalla guerra. Il castello di Gaziantep, patrimonio dell’Unesco, costruito dai romani più di 2200 anni fa, è stato ridotto a un cumulo di macerie.
Le città più colpite sono Hatay, Gaziantep, Kahramanmara e Osmaniye. Ma distruzione e vittime si sono registrate dappertutto. Ad Adana si è sbriciolato un palazzo di 14 piani, a Malatya la bella moschea di Yeni è in rovina, a Iskenderun la cattedrale cattolica è crollata: «La cattedrale è andata del tutto distrutta. L’episcopio è totalmente inagibile ma grazie a Dio non ci sono morti», ha dichiarato monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia.
Siria: cristiani e musulmani rifugiati in chiesa
La situazione in Siria è «catastrofica», secondo quanto dichiarato dall’International Rescue Committee. Ad Aleppo, in particolare, sono crollati più di quaranta palazzi e le vittime si contano a centinaia. Nel quartiere di Azizieh, dove si trova la parrocchia di San Francesco gestita dai francescani di Terra Santa, 300 persone, cristiani e musulmani, si sono rifugiate nella chiesa, mentre nel convento sono duemila.
«Questa ennesima sciagura non ci voleva e colpisce una popolazione già duramente provata», dichiara a Tempi Giacomo Pizzi, che si trova ad Aleppo per Pro Terra Sancta. «Il terremoto ieri ci ha sorpresi nel sonno. Noi siamo riusciti a uscire, altri sono stati meno fortunati: l’arcivescovo greco-melkita emerito di Aleppo, mons. Jean-Clement Jeanbart, è rimasto sotto le macerie ma è stato estratto vivo per fortuna. Il sacerdote melkita Don Imad Daher è invece stato ritrovato senza vita».
Le scosse continuano
Al mattino, continua Pizzi, «ci siamo raccolti in chiesa e abbiamo pregato innanzitutto per ringraziare di essere vivi. Poi abbiamo offerto la colazione alla gente e ci siamo organizzati per distribuire il pranzo: l’amministrazione di Aleppo ci ha chiesto di aggiungere 500 coperti alla mensa che ogni giorno distribuisce mille pasti caldi a chi ha bisogno».
Ieri notte la gente, «ancora nel panico per le frequenti scosse», ha preferito dormire nella chiesa e nel convento dei francescani, non solo per paura di tornare in case pericolanti ma anche perché nella maggior parte delle abitazioni, oltre alla corrente elettrica, manca anche il riscaldamento. Per ospitare migliaia di persone nelle strutture dei francescani, ci racconta Roula, «abbiamo tentato di comprare materassi ma erano tutti finiti in città. Allora abbiamo preso quante più coperte possibile, per impedire almeno che la gente dormisse al freddo o all’aperto».
«Abbiamo bisogno di tutto»
La situazione è «critica» e serve tutto: coperte, cibo, kit di prima assistenza, soprattutto per chi è rimasto senza casa. Pro Terra Sancta ha già avviato una campagna di raccolta fondi per rispondere all’emergenza (chi vuole può donare qui). Come dichiarato a Tempi dal parroco latino di Aleppo, padre Bahjat Elia Karakach, «ora la priorità è cercare di salvare quante più vite possibile. Poi però ci serve aiuto per ricostruire e soccorrere la gente che vive al freddo e senza luce. Abbiamo bisogno di aiuto, l’Occidente deve togliere subito le sanzioni alla Siria».
Foto Ansa
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