«Il seme di Rolando è fiorito facendo cose nuove e redimendo il male passato»

Di Emanuele Boffi
20 Aprile 2018
Il perdono chiesto dalla figlia del partigiano che uccise Rolando Rivi è un grande esempio di carità cristiana. Intervista al vescovo Massimo Camisasca


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«Un gesto dal valore enorme». Tornando su quanto accaduto qualche giorno fa alla Pieve di San Valentino, il vescovo di Reggio Emilia, monsignor Massimo Camisasca conferma a tempi.it di essere convinto che il perdono chiesto e concesso per l’assassinio di Rolando Rivi sia un potente esempio del fatto che «il male è infecondo e solo il bene genera». Era il 13 aprile 1945 quando il giovane seminarista fu ucciso in odium fidei da alcuni partigiani. Settantacinque anni dopo, la figlia di uno di loro, Meris Corghi, ha voluto chiedere perdono per il male compiuto dal padre a quel ragazzino di quattordici anni. Lo ha fatto leggendo un testo durante una celebrazione officiata proprio da monsignor Camisasca.
Eccellenza, a proposito delle parole di Meris Corghi, lei ha detto che la figlia del partigiano «è arrivata a riconoscere che il male non ha ragioni nell’uomo. E soprattutto è infecondo ed è mortale e che quindi al male bisogna contrapporre il bene, il perdono». Che cosa significa?
Noi tutti vediamo ogni giorno i frutti del male. Lo vediamo nelle divisioni in famiglia, nell’incapacità di stare con i figli, nell’incapacità di determinare delle priorità nella nostra esistenza, nel mettere al centro delle nostre giornate i pettegolezzi, dentro e fuori dai social che spesso usiamo come strumenti per trattare gli altri come degli oggetti, talvolta persino con delle calunnie. Questo male di cui noi facciamo quotidiana esperienza corrode e divide il tessuto umano e civile della nostra convivenza. Invece il bene opera una “riunificazione”, unisce, mette insieme. Cristo è venuto per riunire il popolo attraverso di Lui. Egli opera in ogni istante suscitando negli uomini e nelle donne il desiderio di riconciliazione e di perdono. Meris ha fatto un percorso lungo sette anni in cui è stata accompagnata da alcuni sacerdoti. Quando l’ho incontrata, la prima cosa che mi ha detto è stata: «Io amo mio padre». E poi, subito dopo, «ed è proprio perché io lo amo che desidero esprimere pubblicamente il mio perdono a coloro che lui ha colpito». Da queste parole si capisce che lei ha compiuto un cammino profondo, passando da un lido all’altro dell’esistenza, da un male che divide a un bene che unisce.
Alfonso, il cugino di Rolando, accettando la richiesta di Corghi, ha detto che «nei nostri cuori rimaneva una segreta speranza che anche la violenza usata contro Rolando fosse in qualche modo redenta perché la vittoria del bene sul male potesse giungere alla sua pienezza». Perché questo bisogno di “redenzione”?
Quanto accaduto domenica non è solo una testimonianza di un perdono chiesto, ma anche di un perdono concesso. 
Le parole di Alfonso sono una esempio della grande fede che ancora si respira in alcune delle nostre famiglie di campagna. Un profondo esempio di sapienza cristiana. La redenzione è proprio la capacità di Dio di trarre il bene dal male. Il seme di Rolando è fiorito e si è manifestato non solo facendo cose nuove, come abbiamo visto in questi anni, ma anche redimendo le cose passate, come abbiamo capito domenica. Perché il bene è qualcosa che interviene non solo nel presente, ma è anche in grado di trasformare il male che è stato compiuto nel passato.
Settantacinque anni dopo, la figura di questo ragazzino continua a incuriosire e colpire molte persone. Cosa spinge la gente ad avvicinarsi a questo adolescente, quasi ancora un bambino?
Proprio il fatto che era un bambino. Dio parla ai piccoli e attraverso i piccoli, perché nella loro semplicità trova tutto. Dio ha trovato in Rolando un cuore intero. «Io sono di Gesù», in fondo sono queste tre parole, e solo queste tre parole, che sappiamo essere state pronunciate da lui. Nient’altro. Eppure la gente, in questa estrema semplificazione, avverte una verità che la attrae.
Lei ha detto di augurarsi che il gesto di Meris Corghi diventi un esempio di pacificazione. Perché?
Io spero che questo sia l’inizio di una serie di altri perdoni. Ricordo che nella nostra zona tra il 1944 e il 1946, furono uccisi undici sacerdoti e che intorno a questi assassinii, avvenuti in circostanze poche chiare e su cui ancora non v’è concordia nemmeno da un punto di vista storico, si serbano tutt’oggi molti rancori. Per questo il gesto di Meris è molto importante. Martedì è morto Otello Montanari, celebre partigiano, ex deputato del Pci, che in un’intervista del 1990, a proposito dei delitti dell’immediato Dopoguerra nel “triangolo rosso”, disse quelle famose tre parole: «Chi sa, parli». Da allora a oggi, aveva 91 anni, anche per lui c’è stato un percorso, un lento cammino di cambiamento. Sabato l’ho chiamato a casa per invitarlo alla celebrazione in onore di Rolando, ma, purtroppo, la moglie mi ha avvisato della sua agonia. Mercoledì sono stato a benedire la salma. Il fatto che la sua morte si avvenuta negli stessi giorni del “perdono di Rolando” la considero una grande coincidenza misteriosa.
Foto Ansa
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