Si avvicina la data del cosiddetto referendum sulle trivelle (già il nome è fuorviante) e aumentano gli appelli al voto. O al non voto, come è stato fatto ieri da parte dell’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che in un’intervista a Repubblica ha spiegato che la posizione dell’astensione è pienamente legittima (correggendo, senza citarlo, il presidente della corte Costituzionale Paolo Grossi).
In realtà, a chi polemizza con gli “astensionisti” basterebbe ricordare che già altre volte e recentemente – i vescovi sul referendum del 2005 sulla legge 40, la sinistra bersaniana nel 2003 sull’articolo 18 – forze politiche e sociali del nostro paese hanno invitato a non votare.
Oggi, poi, a nostro parere, sono due gli interventi apparsi sulla stampa che meritano di essere segnalati: l’editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera e quello di Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia al Senato, ex ministro dello Sviluppo Economico, sul Foglio.
QUESTIONE DI QUORUM. «Evitiamo le ipocrisie – scrive Panebianco -: il risultato del referendum sulle trivelle di domenica dipende solo dal quorum. Se il quorum non ci sarà, fine dei giochi. Se ci sarà, i “sì” (stra)vinceranno. La ragione è semplice: tutti i fautori del “sì” voteranno, i fautori del “no”, invece, si divideranno fra votanti e astenuti. In queste condizioni, chiunque sia contrario a fermare le trivelle ha, secondo chi scrive, il diritto di astenersi. La controprova è che la schiacciante maggioranza dei nemici dell’astensione è favorevole al “sì”. Se si considera poi che molti fautori del “sì” sono disinteressati al quesito ma vogliono solo prendersela con il governo, è tanto più saggio “chiamarsi fuori”, astenersi».
VOTARE È UN DIRITTO O UN DOVERE? Il ragionamento di Panebianco poi tocca altre questioni come il “dovere” di votare. Che è tale negli «stati totalitari (dove si vota per il partito unico)», mentre è «solo un diritto» nelle democrazie. Ma nel caso dei referendum con quorum le opzioni in campo sono tre: «sì», «no», astensione. «Altre volte, in passato, ci sono stati appelli per l’astensione in occasione di referendum. Ma allora i presidenti della Corte costituzionale non aprirono bocca. Che cosa è cambiato?» si domanda il politologo. È cambiato che la Corte, negli ultimi anni, anche a causa di una politica debole e delegittimata, ha accentuato il proprio ruolo, intervenendo anche laddove non doveva intervenire (si pensi alla sentenza sulla legge elettorale o quella sul blocco degli stipendi degli statali), ma questo, dice Panebianco, è a discapito della terzietà e del prestigio della Corte stessa.
REFERENDUM SBAGLIATO. L’intervento di Romani sul Foglio è altrettanto interessante e già dal titolo rivela un aspetto importante della questione: “Batteremo Renzi in altre occasioni. Non ora, non rinnegando noi stessi”. Forza Italia, infatti, non si è espressa chiaramente sul voto, ma è andata finora in ordine sparso. Romani, però, rivendica il fatto che l’opposizione al governo Renzi non possa essere cieca e lo fa in nome di due considerazioni.
La prima riguarda la natura stessa del referendum: «Domenica non andrò a votare. Non ci andrei in nessun caso, qualunque fosse la mia opinione sulla materia della consultazione, perché trovo inaccettabile l’uso di un referendum in casi come questo». Il referendum, infatti, deve essere usato in casi eccezionali e quando «sia in gioco una scelta chiara fra due grandi visioni del mondo, monarchia o repubblica, indissolubilità del matrimonio o libertà per i coniugi». In questo caso, invece, si tratta di una questione minore e molto tecnica. Cioè una questione che gli stessi legislatori sono chiamati a risolvere, senza dover ricorrere «ai cittadini, che specializzati non sono». Altrimenti quel che accade – e anche questo referendum sulle trivello lo dimostra – è il ricorso all’emotività e alle impressioni (il video dei vip no triv l’avete visto, no?).
BASTA CON L’ITALIA DEL NO. La seconda considerazione Romani la trae dalla sue esperienza da ministro. «Il tema del referendum è totalmente sbagliato», scrive. «Le estrazioni di gas naturale e – in minima parte – di petrolio sono un contributo fondamentale a rendere il paese meno dipendente dagli approvvigionamenti esteri, soggetti a forti oscillazioni di prezzi e soprattutto alle condizioni di instabilità politica che caratterizzano il nord Africa e il Medio Oriente». Poiché l’effetto inquinante delle estrazioni è risibile, non si capisce perché dovremmo ancora una volta accodarci a questa “Italia del no” «che blocca le scelte di sviluppo del paese».
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