Il problema di Taiwan ha un solo nome: Partito comunista cinese

Di Leone Grotti
16 Ottobre 2023
«Ciò che impedisce davvero l’unificazione è il Partito comunista di Xi Jinping». Reportage da Taipei. Intervista al filosofo Yang Rubin
All'apertura del Congresso del Partito comunista in Cina, Xi Jinping ha ribadito l'intenzione di conquistare Taiwan

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Sono passati pochi giorni dal “doppio dieci”, 10 ottobre, giorno in cui si celebra la nascita della Repubblica di Cina, ma Taiwan non ha ancora svestito l’abito della festa. Sia tra i modernissimi palazzi della capitale Taipei che lungo le stradine dell’anello periferico che la circonda, dove un tempo sorgevano diverse città, oggi riunite in un’unica grande metropoli chiamata Nuova Taipei, sventolano le bandiere del paese riconosciuto da appena 13 Stati nel mondo e che la Cina minaccia di conquistare con la forza.

Alla vigilia delle cruciali elezioni presidenziali del 13 gennaio, anche la festa nazionale ha portato con sé il suo strascico di polemiche. L’ex presidente Ma Ying-jeou, membro del Kuomintang, il principale partito di opposizione favorevole a intrattenere rapporti stretti con la Cina, fino all’unificazione, non ha partecipato alle celebrazioni accusando il governo di Tsai Ing-wen, al potere dal 2016, di essersi spinta troppo oltre con la retorica indipendentista.

«Taiwan è la nostra casa»

Nei documenti ufficiali in lingua inglese, infatti, non è stata fatta menzione della Repubblica di Cina, il cui governo si trasferì sull’isola nel 1949 dopo che i nazionalisti di Chiang Kai-shek furono sconfitti dai comunisti di Mao Zedong, ma soltanto di «Taiwan». L’ex presidente Ma, così come il candidato presidenziale del Kmt, Hou Yu-ih, hanno ribadito la loro consueta posizione: «La Repubblica di Cina è il nostro paese, Taiwan è la nostra casa».

Tutte le speranze del Kmt di tornare a vincere dopo due mandati al potere del Partito progressista democratico (Pdd), più favorevole all’indipendenza, si concentrano su un semplice messaggio: se avete a cuore la vostra sicurezza e volete evitare l’invasione della Cina, votate per noi. Ma anche se il consenso verso il Pdd si è affievolito nell’ultimo periodo, il continuo strizzare l’occhio all’unificazione da parte del Kmt indebolisce il suo candidato.

La vera identità cinese

Anche perché, come dichiara a Tempi il professore Yang Rubin, docente di Filosofia presso la prestigiosa National Tsinghua University, situata nella città affacciata sullo Stretto di Hsinchu, la più vicina alla Cina, «ciò che impedisce davvero l’unificazione di Taiwan e Cina è proprio il Partito comunista di Xi Jinping».

Secondo lo studioso della Repubblica di Cina e della storia dell’isola, Taiwan ha subito molte invasioni da parte di Olanda, Cina e Giappone che non le hanno permesso di sviluppare una vera e propria identità separata da quella della Cina. «Noi abbiamo conservato la vera identità cinese», spiega, sottolineando quando la mentalità taiwanese sia influenzata dal confucianesimo. «La Repubblica popolare invece ha imposto il comunismo, che ha sostituito ogni altra religione e cultura».

Il 1949 è stato uno spartiacque che ha fatto la fortuna dell’isola: «Mentre la Cina intraprendeva la strada del marxismo», continua il docente, «Taiwan ha mischiato la tradizione orientale con quella occidentale, scegliendo democrazia e libertà. Anche se la Repubblica di Cina, dal punto di vista politico e militare, ha perso, culturalmente ha vinto».

Indipendenza e unificazione

Nonostante la divisione tra Cina e Taiwan oggi sia molto profonda, per il professore l’unificazione non sarebbe teoricamente impossibile: «È impossibile dire che Taiwan non abbia niente a che fare con la Cina come fanno alcuni indipendentisti», insiste. «Il problema è che oggi a Pechino comanda il Partito comunista». Da qui il fatto che «per i giovani l’indipendenza è difficile, l’unificazione impossibile: l’unica possibilità è il mantenimento dello status quo».

Un obiettivo che sembra sempre più difficile da mantenere. Mentre i taiwanesi celebravano la fondazione della Repubblica di Cina, godendosi un rarissimo giorno di ferie, l’Esercito popolare di liberazione ha superato la linea mediana dello Stretto con 14 aerei da guerra e cinque navi.

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