“Ds è alla frutta. Sarà al governo e appetitoso nell’immagine ma sempre frutta è. Senza radici e senza memoria storica non si va da nessuna parte. Per di più con un vertice incapace di creare un gruppo dirigente e che non ha voluto riflettere sul fenomeno europeo di disossamento dei partiti”. Parola di un Ds dissidente, che avverte: “Ma l’opposizione non gridi vittoria.
Cosa accadrebbe se Berlusconi cedesse la leadership del Polo? Anche lì c’è un probelma di povertà di idee, e di uomini”
Senatore perché lo fu nel Parlamento italiano, eletto nelle file di quel Pci di cui è stato per decenni membro del comitato centrale. E Senatore perché Emanuele Macaluso ancora lo è di quella sinistra che non si rassegna alla perdita della memoria e che dalle pagine della rivista che dirige, Le Ragioni del Socialismo, non smette di rappresentarne l’anima briosa, pacata, illuminista. Emanuele Macaluso, diessino antigiustizialista, letto sul Corsera sotto un titolo che avrebbe fatto male ai bei tempi del Corriere dipietrista, ha di recente rammentato che “Tangentopoli è anche storia nostra”, che “il Pds tacque”, che l’alto dilemma “parlerà oggi?” è indirizzato ai congressisti del Lingotto. Impossibile, gli ha fatto eco il vecchio compagno di partito Alberto Asor Rosa su Repubblica: “la commissione d’inchiesta su Tangento-poli non si può fare, e di fatto non si farà, perché se si dovesse fare, altro che crisi di governo, il cielo della politica crollerebbe in pezzi sulla sinistra italiana”.
Parliamo allora di questo firmamento della politica che è a congresso a Torino. Il Foglio di Giuliano Ferrara ha titolato: “I Ds dei 2000 un incrocio tra Marx e i Flinstones”. Che effetto le fa? A me veramente fa anche un po’ dolore, però quest’approccio congressuale, con questa immagine di facciata, con queste parole d’ordine, sono tutti tentativi di ricostruire una identità che non c’è – questa è l’accusa – e secondo me sono tutti tentativi che non hanno sbocco. Col ceppo da cui viene, con la matrice che ha – sia la matrice comunista, sia anche quella socialista – quell’approdo non ha senso: un partito di tipo americano, leggero, senza riferimento al passato, a me pare che non abbia sbocco. La mia impressione è che sarà un altro tentativo, dopo quelli fatti dalla Bolognina in poi, per ricostruire una identità su immagini che non hanno alcun riferimento con la realtà italiana, con la storia italiana, con la vicenda politica della sinistra italiana e si risolverà ancora una volta nel nulla.
Pensa che questa virata verso il partito americano sia anche frutto, diciamo così, dell’imbarazzo davanti alla questione Tangentopoli che lei ha posto ricordando la mozione della minoranza riformista del 1992? Io capisco che è più facile andare oltre che fare i conti con se stessi: è una scorciatoia però, perché se non si fanno i conti con se stessi prima o poi si paga lo scotto. Per questo dico che anche questo congresso di Torino non è diverso dai tentativi precedenti – di quando si disse Pds, Partito dei democratici della sinistra, per non fare riferimento al socialismo, poi quando si fece la Cosa 2, prima si era fatto anche il tentativo della sinistra sommersa dell’Alleanza democratica con Adornato, poi è spuntato l’Ulivo – tutti tentativi di creare qualcosa per non andare al nodo vero, cioè che cosa è e che cosa può essere oggi la sinistra in rapporto alla sua storia, sia la storia del Pci che quella del Psi, perché queste sono le due matrici della sinistra. Qualcuno pensa ancor oggi di saltare questo ostacolo. La mia opinione è che non è possibile, ancora una volta quindi il congresso animato da questo tentativo non risolverà il nodo che non si vuole sciogliere.
L’ultimo segretario del Pci è stato molto duro con l’attuale leadership Ds. A Repubblica ha detto, “preferirei non parlarne, di questi cretini”…
A parte qualche espressione l’intervista rilasciata da Natta a Repubblica aveva una sua logica…
Cioé? Si è determinata una situazione per cui in Ds non c’è più un nucleo forte in grado di fare una riflessione sul passato e di proporre una sinistra nuova, moderna, europea ma innestata in una storia. D’altra parte non c’è nemmeno un nucleo capace di cancellare tutto e di fare un’altra cosa, un’altra sinistra, questo partito democratico americano, questa somma di riformismi cattolici, radicali… Si vanno esaurendo i nuclei che potevano fare la vecchia storia e, al tempo stesso, non si intravvedono forze in grado di fare qualcosa di qualitativamente nuovo. Siamo rimasti senza l’uno e senza l’altro. Come è accaduto fino ad ora, per cui c’era chi voleva il partito socialdemocratico e chi voleva l’Ulivo e non c’è né il partito socialdemocratico, né l’Ulivo.
Adesso però arrivano i soccorsi di immagine: Sting, Cucinotta, Ferilli…
Sì, ora siamo arrivati alla frutta, se pure si tratta di una frutta gustosa, appetitosa…
Ma secondo lei c’è un uomo tra i Ds che potrebbe rappresentare un’alternativa alla “frutta” veltroniana? Questo è il punto. Io non penso che il problema sia un uomo, i partiti sono storie di gruppi dirigenti, di stati maggiori, questa è la verità, ce lo insegna la storia. E io non vedo una riaggregazione di gruppi dirigenti. Nel bene e nel male la storia politica italiana, ma non solo italiana, è fatta sempre intorno a gruppi dirigenti, perfino Napoleone, l’imperatore, aveva il suo gruppo di generali. Se non si è aggregato un gruppo è perchè non c’è stato un lavoro che non poteva essere solo politico, ma doveva essere politico-culturale, di ricerca ideologica, storica, per reimpiantare la sinistra sulle proprie radici. L’attuale leadership voleva andare oltre il Pci e creare un’altra cosa. Ma lo ripeto: non si è fatto né l’uno né l’altro. Per questo dico che il problema non è quello di una persona, ma che non si vedono aggregazioni di gruppi dirigenti – questa è la mia preoccupazione, che del resto è la preoccupazione che io avverto per l’intero sistema politico italiano. Anche dall’altra parte: vorrei vedere cosa succederebbe se Berlusconi cedesse la leadership del Polo. Anche lì c’è stata una ricognizione di che cosa vuol essere una destra moderna, europea, liberista e liberale, quindi il tentativo di creare nuovi gruppi dirigenti, una cultura, una politica. Ma anche lì c’è lo stesso problema: in Italia tutte e due le sponde sono povere. Come risultato avremo che questo paese sarà governato dalle lobby, dai poteri forti perché lo smidollamento della politica, il disossamento dei partiti alla fine porta a questo, non c’è niente da fare. Siccome poi questo paese è in Europa, siccome è un grande paese industriale, siccome ci sono delle forze dinamiche che devono andare avanti e che andranno avanti, è chiaro che il governo reale non sarà più in mano alle istituzioni e alla politica, con pericoli perché l’assenza di una mediazione politica alta è carica di rischi. Sembra che ci siano solo i colonnelli, ma è finita la storia dei colonnelli d’Europa, non è questo il pericolo oggi, la dittatura, ci sono altre forme di autoritarismo senza colore a cui le lobby possono sempre ricorrere…
Come l’uso spregiudicato di certa magistratura…
È il Potere, amico, che può essere potere giudiziario, economico, mediatico, insomma i grandi poteri che governano la globalizzazione…
Anche se c’è una tendenza in Europa per cui la politica la fanno i giudici, pensi a quello che sta accadendo a Kohl in Germania…
Questa è la cosa che mi preoccupa, che non ci si piega a guardare che non si tratta di un fatto solo italiano: quello che è avvenuto in Francia con la magistratura francese, quello che sta avvenendo in Germania, quello che era già avvenuto in Spagna, quello che era avvenuto in Olanda e in Belgio, cioè in tutta Europa, pone dei problemi. C’è un problema, che in un bel libro di recente tradotto in Italia da Liberi Libri, Antoine Garabon chiama il problema della “Repubblica penale”, su cui non si è riflettuto. D’altra parte che vuole, non ci sono più centri di riflessione, strumenti che aiutino come giornali o riviste, c’è qualche pubblicazione diffusa tutt’al più in qualche migliaio di esemplari. Questo è il vero spettro che oggi si aggira in Europa, la fine della politica, della riflessione critica, della diffusione delle idee.