Lettere al direttore
«Il mio volto»: Adriana Mascagni nelle sue canzoni
«Il mio volto» è il titolo della serata che Rimini dedicherà alla musicista e cantautrice milanese Adriana Mascagni a due mesi dalla sua improvvisa scomparsa. Una fotografia del volto dell’artista con lo sguardo diretto verso l’alto è stata scelta dagli organizzatori – il Centro Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero Sociale della Chiesa – per significare la forte espressività, di chiara impronta religiosa, della musicista discendente da una famiglia di pianisti, compositori e cantanti lirici.
Adriana Mascagni – lo riepiloghiamo – con la musica nel sangue, da quindicenne a Milano incontra un giovane insegnante di religione, don Giussani. Prestissimo nella nascente comunità di Gioventù Studentesca sorgono i canti che attraverseranno la vita di intere generazioni, fino ad oggi: il più noto è “Povera voce” musicato da Adriana sulle parole di Maretta Campi – da queste parole è stato tratto anche un titolo del Meeting di Rimini nel 2001 -, ma ricchissima è la produzione della Mascagni anche nei testi, oltre che nella musica, a partire da “Mio Dio mi cercavi? Che volevi da me?”, la sua prima canzone religiosa scritta a 17 anni.
Facciamo un altro esempio, “Il mio volto”, che dà appunto il titolo al prossimo concerto riminese: “mi guardo ed ecco scopro che non ho volto / guardo il mio fondo e vedo il buio senza fine […] / come le stelle su nei cieli / nell’essere Tu fammi camminare […] / l’anima mia fai come neve che si colora / come le tenere tue cime / al sole del Tuo amore”. La ricerca personale di senso della vita, di felicità, di compiutezza si scontra con un iniziale segno di inciampo apparente, la propria piccolezza e miseria, ma anziché chiudersi l’io si apre in un atto di preghiera e la vita così acquista colore, sapore, identità. Questo è ciò che una ragazza di fine anni Cinquanta – inizio anni Sessanta esprime senza la protezione di corazze ideologiche, fuori dagli apparati di potere, mentre il mondo attorno suggerisce ai giovani tutt’altro (in quegli anni il “boom” economico si porta dietro secolarizzazione, rivoluzione consumistica, ribellione verso i padri in una valanga dalla quale pochi si salveranno).
Eppure non si tratta di un fatto personale, né di una voce isolata, eremitica. Al contrario, afferma Adriana Mascagni a proposito delle sue creazioni: “Questa non è la mia canzone; è la nostra canzone, perché senza di voi io non l’avrei potuta fare”. Il “voi” di cui parla è la comunità cristiana nata attorno al Servo di Dio don Luigi Giussani.
Ma perché ricordare Adriana Mascagni a Rimini?
La risposta è in un libricino stampato dalla Tipografia Artigiana, oggi pressoché introvabile e di notevole interesse storico, che documenta uno dei primissimi concerti pubblici in assoluto di Adriana, il primo a Rimini, nel 1963, cioè sessanta anni fa. E’ proprio in questo libretto che troviamo la frase di Adriana sull’origine della “nostra canzone”. Va premesso che nell’estate 1962 il sacerdote don Giancarlo Ugolini aveva incontrato l’esperienza di GS e l’aveva iniziata a Rimini con i primi raduni studenteschi. Nel giro di pochi mesi questa piccola comunità è in grado di proporre anche avvenimenti legati all’espressività, come il concerto in cui la cantautrice ventenne esegue tredici brani fra i quali ci sono già dei grandi “classici”, come i sopra citati “Il mio volto” e “Povera voce”, “Non son sincera”, “Grazie Signore”, “Nel silenzio della notte”, “Al mattino”.
Del resto Adriana Mascagni è intervenuta come protagonista al Meeting di Rimini in quattro edizioni, con concerti e incontri, in uno dei quali (1989, con Franco Mussida, ex PFM) ha detto fra l’altro: “La canzone religiosa è stata come una cenerentola, bella, ma vicino al focolare, sconosciuta. Mio desiderio è sempre stato, fin dall’inizio, vestire questa cenerentola del più bel vestito per farne risaltare tutta la bellezza”.
A introdurre il concerto del 25 febbraio (ore 21:15, Chiesa dei Servi, Corso d’Augusto, Rimini) e a guidare il pubblico tra le diverse composizioni sarà Marina Valmaggi, la musicista, compositrice e cantautrice riminese che condivise per prima con don Ugolini l’inizio di Gioventù Studentesca in riviera ed ha intrecciato con Adriana un’amicizia e una fraternità artistica sessantennale.
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Caro direttore, talvolta i fatti esageratamente negativi inducono alla riflessione, almeno tentata. In questi giorni piovono i giudizi su quella “cosa” sconcia che è stato il festival di Sanremo e su quel fenomeno preoccupante che è l’astensionismo elettorale sempre più largo. E spesso i due temi si sono incrociati, come è accaduto nell’intervento sempre interessante di Giovanni Cominelli e nell’intervista a La Verità di Giovanni Orsina.
Il primo fa risalire l’astensionismo (grazie al quale, tutti, in un certo senso, hanno perso) ad una grave carenza culturale ed esistenziale, sulla base della quale “l’intreccio disordinato delle emozioni, delle paure, delle percezioni, delle interpretazioni del mondo sta dissolvendo l’idea che vi possa essere una verità e che bisogni incessantemente cercarla”, per cui “l’operazione filosofica e culturale oggi più di moda è quella della decostruzione” perché “la verità/realtà non esiste”. In questo contesto rimane solo il “patchwork di Sanremo”, che tradotto in italiano secondo il dizionario, significa “mescolanza di cose eterogenee e confuse”. In questo senso, è vero che l’atteggiamento relativista per il quale tantissimi non hanno votato è lo stesso per il quale il “servizio pubblico” della RAI (o EIAR?) ha potuto anche solo immaginare e poi attuare uno spettacolo dominato, per usare parole nobili, dalla “dittatura del relativismo”, interpretata, tra l’altro, in termini faziosi , unilaterali e pornografici. In questo clima culturale qualunquista e senza ideali perché andare a votare?
Molto bella l’intervista di Orsina, se non altro perché pone il problema in termini non consueti, avendo il coraggio di attaccare alcuni “dogmi” della cultura, oramai solo “radicale” della sinistra, che, anche secondo lui, è all’origine delle porcate di Sanremo e del massiccio astensionismo. Ma penso anche che Orsina non abbia poi il coraggio di fare un passo ulteriore, quando dovrebbe indicare la strada per uscire da questa nichilista situazione. A questo punto si ferma, anche se le domande se le pone, quando si chiede: “Me la sono presa con Sanremo perché non c’è un evento pop di destra, ma se lo immagino mi prende lo sconforto. Che cosa potrebbe fare, celebrare la maternità e la nazione?” E ancora: “Per ripartire, bisogna provare a chiedersi di cosa hanno veramente bisogno le persone in questo mondo destrutturato”. Magari, dico io,hanno bisogno di “senso”, ma non abbiamo il coraggio di dirlo. Infatti quando l’intervistatore chiede a Orsina se non sia necessaria una “apertura al trascendente”, Orsina risponde: “Volerei più basso, anche se Del Noce diceva che non ci sarebbe stata rinascita senza un risorgimento di tipo religioso. Simone Weil parlava dei bisogni vitali dell’animo umano senza ricorrere al trascendente”, dimenticando che proprio il trascendente è uno dei bisogni essenziali di ogni essere umano. Anche l’anticonformista Orsina si ferma alla soglia del problema, a conferma che Dio è veramente stato espulso da ogni dibattito pubblico.
La problematica è enorme e non può certo essere affrontata nello spazio di una lettera, ma due cose voglio dirle, perché le ho imparate, pur essendo io un semplice uomo di strada, dal mio padre nella fede e da quello che considero un grande maestro.
Il primo è il servo di Dio don Luigi Giussani: consiglierei a tutti di leggere o rileggere il suo libro “L’io, il potere le opere” (edizione Marietti 1820), che ha un filo rosso che collega tra di loro tutte le problematiche del potere, del lavoro, delle opere e della politica e questo filo è costituito proprio dal “senso religioso”, che non si vergognava di indicare coraggiosamente come il punto essenziale con cui affrontare tutte le problematiche. Nel famoso discorso tenuto da don Giussani ad Assago nel 1987 di fronte alla DC lombarda ed alla presenza del segretario nazionale De Mita (che poi non apprezzò tale intervento, a conferma del decadimento già allora in atto di tale partito) il grande sacerdote, usando parole molto “laiche”, diceva: “la cosa più interessante è che l’uomo è ‘uno’ nella realtà del suo io …. Che cosa determina, cioè da’ forma a questa unità dell’uomo, dell’io? E’ quell’elemento dinamico che attraverso le domande, le esigenze fondamentali in cui si esprime, guida l’espressione personale e sociale dell’uomo. Brevemente, io chiamo ‘senso religioso’ questo elemento dinamico che, attraverso le domande fondamentali, guida l’espressione personale e sociale dell’uomo; la forma dell’unità dell’uomo è il senso religioso”. Il problema è che se non rispetta questa struttura fondamentale dell’uomo, come il potere sta cercando di fare da oramai molto tempo, l’uomo viene svuotato di ogni idealità e, quindi, è inevitabile che si disinteressi dei problemi comuni, compreso quello di partecipare al voto, con proprie idee e con propri ideali. I cattolici per primi dovrebbero fare propria questa impostazione, come contributo ad una ripresa comune. Anche tanti amici che si stanno impegnando in politica dovrebbero ripartire insieme da questa tematica, invece che disperdersi in tanti rivoli che, alla fine, li rende deboli, almeno su questo fronte principale.
Caro direttore, tu sai quanta considerazione io abbia per il grande Chesterton, il quale mi da’ lo spunto per una seconda osservazione che traggo da uno dei suoi saggi più interessanti e cioè “L’uomo Comune” (edizioni Lindau), che costituisce uno dei temi più ricorrenti nei suoi scritti. In tale libro si legge che “l’emancipazione moderna si è rivelata una nuova persecuzione dell’uomo comune … L’unica cosa che ha vietato è il senso comune, per come viene compreso dalla gente comune”. E ancora: “Il progresso è stato solamente una persecuzione dell’uomo comune” e “non vi è cosa normale che non possa essere sottratta all’uomo normale”. L’uomo comune viene perseguitato dalla “smania e dalla follia causate dalla volubilità della classe istruita”. E’ stato evidente l’attacco portato dal festival di Sanremo al buon senso ed alla tradizione del sano uomo comune e, d’altra parte, si capisce perché un uomo comune bistrattato non vada più a votare.
Don Giussani e Chesterton hanno detto e scritto le cose appena riferite perché hanno avuto il coraggio degli uomini liberi, resi forti dalla loro fedeltà al senso religioso che li ha sottratti al pensiero unico del potere, sempre più anonimo e pervasivo. Dobbiamo darci tutti questo coraggio, se vogliamo che qualcosa cambi. E chi va al potere non disdegnando tali ideali deve avere il coraggio di attuare i cambiamenti promessi: altrimenti perché andare a votare? Per reagire a Sanremo, basta non vedere più quanto ci propone la matrigna RAI/EIAR. Almeno questo.
Peppino Zola
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Caro Direttore, si è appena concluso il Festival di Sanremo ed anche quest’anno abbiamo potuto constatare che la più importante manifestazione canora italiana (seguita in tutto il mondo) si è ormai trasformata in un gigantesco inno alla cultura “gender”.
L’apice di tale inno è stato raggiunto durante la serata finale, quando l’artista Rosa Chemical, che si autodefinisce “gender fluid”, durante la propria esibizione, si è seduto sulle ginocchia di Fedez, mimando un atto sessuale, e ha poi trascinato lo stesso Fedez sul palco, baciandolo in bocca, davanti alle telecamere e alla moglie Chiara Ferragni, che ha assistito divertita a tale scena.
Nessuno dei conduttori si è ovviamente permesso di formulare la minima obiezione sull’opportunità di mostrare un tale siparietto in prima serata su RAI 1, davanti a milioni di telespettatori, molti dei quali minori di età. E’ chiaro, infatti, che chiunque lo avesse fatto avrebbe rischiato di essere pubblicamente additato come omofobo e retrogrado.
All’interno di un contesto così saturo di ideologia, però, c’è stato un “fastidioso” elemento, che è andato in forte controtendenza rispetto al pensiero unico sopra descritto: si tratta della canzone “Supereroi” del giovane rapper Mr. Rain.
Mr. Rain, infatti, muovendosi come un pesce fuor d’acqua, ha avuto il coraggio di portare sul palco dell’Ariston un testo, che si ispira ad una nota frase di Don Tonino Bello (vescovo pugliese morto nel ’93, di cui la Chiesa ha già avviato il processo di beatificazione), che recita: “Gli uomini sono angeli con un’ala soltanto. Possono volare solo rimanendo abbracciati” (affermazione scelta dal rapper come incipit della sua canzone).
Mr. Rain, inoltre, si è fatto accompagnare sul palco da un coro di “voci bianche” composto da otto bambini; due di loro (un bambino e una bambina) avevano sulla spalla una sola “ala d’angelo” e, alla fine della canzone, si sono incontrati, prendendosi per mano. La presenza dei bambini, in tal modo, ha dato carne e sangue alle parole di un sacerdote illuminato: in una società iper-individualista, in cui spesso l’obiettivo da raggiungere sembra l’autosufficienza, sono proprio i bambini ad insegnarci che il compimento di noi stessi può scaturire solo dalla relazione con gli altri.
Dopo l’esibizione di Mr. Rain, si è verificato un fenomeno davvero molto strano e con pochissimi precedenti: la critica musicale, infatti, ha immediatamente stroncato la canzone “Supereroi”, che, dopo le prime due serate (nelle quali avevano votato unicamente i giornalisti accreditati), si era piazzata solo al 17° posto della classifica provvisoria.
Incredibilmente, però, tale canzone è subito balzata al primo posto nelle classifiche di tutte le piattaforme di streaming musicale e, attraverso un enorme tam tam scatenatosi sui social network, è entrata con prepotenza nel cuore della gente, bucando il muro dell’ideologia e del pensiero unico, che era stato propinato a piene mani dal palco dell’Ariston.
Infatti, a partire dalla terza serata, in cui hanno potuto votare anche i telespettatori attraverso il televoto, Mr. Rain, in modo assolutamente inaspettato, è avanzato dal 17° al 3° posto della classifica provvisoria, lasciando attoniti critici e giornalisti, che hanno continuato a screditare la sua canzone, a suon di “4” in pagella, nel maldestro tentativo di convincere la gente che si stava sbagliando. Ciò non è bastato, però, ad impedire a Mr. Rain di chiudere il suo Festival, piazzandosi al 3° posto della classifica generale.
La canzone “Supereroi” è stata così come un lampo di luce nella nebbia fitta sanremese, mostrando a tutti noi due grandissime verità: la prima è che nessun pensiero ideologico, per quanto possa essere consolidato e diffuso, può offuscare fino in fondo il nucleo fondamentale del cuore dell’uomo; la seconda è che, nonostante tutto, l’esperienza cristiana si dimostra ancora oggi in grado di dire le parole più vere sull’esistenza umana.
Antonio Arciero
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Ho letto adesso la lettera di Peppino Zola e mi sento confortato. Pensavo di essere rimasto l’ultimo dei moicani a resistere all’attrazione del terzo polo. Le motivazione che scrive Peppino Zola solo le stesse motivazioni che mi hanno portato a votare Matteo Forte. In questa campagna elettorale oltre al fascino per questo vento di novità che sembrerebbe portare il terzo polo ho anche notato una mancanza di interesse sulle elezioni e conseguentemente di dialogo su questo tema. Quando ho espresso occasionalmente la mia intenzione di voto con amici del movimento sono rimasto sorpreso dalla loro riservatezza e titubanza nel parlarne. Sembrava che gli avessi chiesto il PIN della loro carta di credito. Mi ricordo quando anni fa avevo partecipato alle campagne elettorali per Formigoni. Le avevo vissute come una opportunità di incontrare gente e discutere di tutti i temi che interessano la vita. I banchetti nelle piazze erano momenti di festa e di aggregazione. Come è stato possibile oggi questo cambiamento? Non credo che questa smobilitazione sia circoscritta solo alle elezioni. A questo proposito mi ha anche colpito quest’ultima campagna per il Banco farmaceutico. Nella mia zona poche persone hanno offerto la loro disponibilità come volontari. Molti turni non erano coperti. Certamente alcuni erano impegnati ai seggi ma questa giustificazione non credo che riguardasse la maggior parte delle persone che negli anni passati avevano partecipato al banco farmaceutico. Credo che dovremmo interrogarci su tutto questo.
Gabriele Bellatorre
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