Il martirio di Rolando Rivi, come il rinnovarsi del mistero della Passione di Cristo

Di Emilio Bonicelli
13 Aprile 2022
Così Emilio Bonicelli racconta nel libro di Matteo Fanelli l’assassinio 77 anni fa del giovane seminarista emiliano beatificato nel 2013
Rolando Rivi
Il beato Rolando Rivi, martirizzato dai partigiani a Palagano (Mo) il 13 aprile 1945. Aveva 14 anni (foto Ansa)

In occasione del 77esimo anniversario del martirio di Rolando Rivi, assassinato dai partigiani il 13 aprile del 1945 nel Modenese, pubblichiamo per gentile concessione un brano della postfazione di Emilio Bonicelli al libro di Matteo Fanelli 13 aprile 1945. La lotta partigiana e il martirio di Rolando Rivi, pubblicato in questi giorni da Itaca (qui la nostra recensione).

* * *

[…] Anche il compimento della sua vita, a soli quattordici anni, è stato come un rinnovarsi in lui del mistero della Passione di Cristo. Rolando fu rapito da alcuni partigiani comunisti, mentre studiava e pregava al limitare di un boschetto vicino a casa. Quasi fosse l’orto del Getsèmani, sul monte degli Ulivi, dove fecero irruzione uomini armati di spade e bastoni in cerca di Gesù. Contro il giovane seminarista, fatto prigioniero, fu inscenato un processo farsa, con false accuse, e di lui dissero: «Sei una spia». Come il processo di fronte a Caifa, dove Gesù fu accusato di essere un bestemmiatore.

Allora frustarono con odio Rolando, così raccontano i testimoni, con la cinghia dei pantaloni, fino a lacerargli la carne. Come il flagello con cui colpirono Gesù. I persecutori strapparono di dosso al seminarista la talare, quella veste che il ragazzo tanto amava, perché segno visibile della sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Come il Signore, spogliato delle vesti e schernito dai soldati romani. Poi i partigiani arrotolarono la talare e, in segno di disprezzo, la presero a calci. Nessuno può immaginare quanto dolore provocò questo fatto nel ragazzo che si sentiva ferito negli ideali di bontà, di verità, di bellezza che quell’abito rappresentava.

Il 13 aprile 1945 – era un venerdì, lo stesso giorno della morte di Gesù sulla croce – Rolando fu ucciso, in odio alla sua fede cristiana, dopo essere stato trascinato in un bosco, su un’altura, dove tutto era pronto per il suo supplizio. Come fosse il Golgota. Il commissario politico del gruppo sparò due colpi di pistola contro il giovane seminarista, mentre questi, in ginocchio, pregava, rinnovando la sua appartenenza al Signore e invocando la sua misericordia: «Padre nostro… sia fatta la tua volontà… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori…».

Pregava e nessuno, né le offese, né le percosse, né le umiliazioni, né le torture, né la stessa morte, riuscirono a strapparlo dalla mano del suo grande Amico. Là dove l’ideologia, la violenza e l’odio della guerra sembravano dominare incontrastati, Rolando fece risuonare alto il suo amore a Cristo morto e risorto. Nelle tenebre brillò una luce che continua a brillare per noi e a rischiarare il nostro tempo. È la luce della misericordia del Signore, che è più forte del male e sa trasformare ogni buio in strada che conduce a Lui.

Intanto il padre Roberto e il suo parroco, don Alberto, stavano cercando da giorni il ragazzo, ma giunsero sul luogo del martirio solo al sabato sera, quando ormai tutto si era compiuto. Qui ci fu un drammatico confronto con i partigiani. Questi prima negarono ostinatamente di aver tenuto prigioniero e ucciso il giovane seminarista, poi ammisero la propria responsabilità.

Uno di loro entrò nel bosco, diventato un nuovo Golgota, e indicò il luogo dove Rolando era stato malamente sepolto. Ormai faceva buio. A Roberto e don Alberto non rimase altra scelta, se non quella di tornare a Monchio, il paese più vicino. Qui trascorsero la notte tra le macerie annerite della Casa Canonica in gran parte distrutta dal fuoco, dopo una feroce rappresaglia nazista che aveva provocato, in quella zona, decine di morti innocenti.

Il giorno dopo il sabato, il 15 aprile 1945, terza domenica del tempo di Pasqua, il papà e il parroco si recarono di buon mattino nel bosco del martirio, per riavere Rolando. Ancora dieci giorni, e la guerra sarebbe finita. Don Alberto tolse le foglie secche e la terra, tirò su il corpo martoriato del seminarista e lo depose a fianco della buca. Roberto prese il figlio tra le braccia, lo baciò e gli parlò a lungo piangendo. In quella sepoltura improvvisata nel bosco Rolando era rimasto dal venerdì sera alla domenica mattina, come Gesù, deposto nel sepolcro vicino al Golgota.

Poi il corpo del seminarista fu portato nella chiesa di Santa Maria Assunta, a Monchio, per celebrare il funerale cristiano e chiedere al Signore di accogliere il piccolo martire nella gloria della sua Resurrezione. Alcuni contadini avevano preparato una bara con assi di legno, tenute insieme da lunghi chiodi. Il parroco prese un telo bianco, ne appoggiò la metà sul fondo della bara, vi depose il ragazzo e con l’altra metà coprì il corpo martoriato. Un telo bianco avvolse Rolando, come quello di lino, filato a mano, appoggiato per metà sulla pietra del sepolcro e ripiegato, per l’altra metà, sul corpo di Cristo. […]

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