I sedici ulema uccisi a Mosul per aver difeso i cristiani, l’imam frustato in piazza e altre storie di musulmani perseguitati dallo Stato islamico
I fanatici dello Stato islamico, dopo essersi insediati a Mosul proclamando il califfato, hanno dato il via a una sistematica persecuzione dei cristiani, culminata nella cacciata di questi dalle loro case. Le massime cariche istituzionali della Chiesa e degli organismi internazionali hanno condannato questa condotta, ma come hanno reagito i musulmani moderati? «Dipende», dichiara a tempi.it Camille Eid, scrittore e giornalista libanese. «Alcuni hanno protestato, pagando con la propria vita, altri hanno preferito restare in silenzio».
Chi si è opposto?
Innanzitutto 16 ulema sunniti che appartengono a confraternite sufi di Mosul, il ramo più spirituale dell’islam. La notizia della loro uccisione è uscita circa un mese dopo la presa della città da parte dello Stato islamico (e secondo l’Onu sono stati uccisi tra il 12 e il 14 giugno, ndr). Alcuni di loro sono stati uccisi ancora prima che venissero emanati gli editti contro i cristiani perché si erano opposti all’interpretazione radicale dell’islam seguita da questi terroristi. Tra loro ci sono gli imam della Grande moschea della città, Muhammad al-Mansuri, e quello della moschea del Profeta Giona, Abdel-Salam Muhammad.
Un docente di legge (che lavora nel dipartimento di Pedagogia dell’università di Mosul, ndr), Mahmoud Al ‘Asali, che si è ribellato alle azioni persecutorie contro i cristiani. È stato davvero coraggioso. Altri, magari, pensavano che questi terroristi non facessero davvero sul serio.
Cioè?
Lo sceicco Muhammad Al Badrani, imam sufi, ha ricevuto 70 frustate come punizione per aver ripetuto dal minareto della moschea Al Kawthar lodi “aggiuntive” al Profeta prima dell’appello alla preghiera. Era già stato avvertito di smettere e forse non li ha presi sul serio. Allora lo hanno trascinato davanti al tribunale e gli hanno dimostrato che non scherzano. Ma non hanno problemi a punire anche uccidendo.
Come si spiega questi gesti di grande coraggio?
Non dico che Mosul abbia alle spalle una storia ideale di convivenza, però quanto meno il suo pluralismo è conosciuto da secoli. È stata una città con una composizione di etnie e religioni molto variegata. C’erano i cristiani siri, caldei, armeni; i musulmani sunniti, sciiti, sunniti sufi, yazidi. Poi i curdi, i turkmeni e anche una comunità ebraica fino agli anni Cinquanta. La convivenza di questi gruppi ha prodotto una tolleranza reciproca e molti si sono opposti alla sua distruzione. Anche i cristiani all’inizio sono stati ingannati, perché i terroristi hanno dato loro l’impressione che se fossero rimasti tranquilli avrebbero potuto continuare a vivere nella città. Non era così.
Non è stata una cosa organizzata. Si tratta di giovani musulmani che hanno voluto esprimere la loro vicinanza ai cristiani scrivendo sulle magliette “Io sono iracheno, sono cristiano” e anche “Siamo tutti cristiani”. Poi si è trasformata in una campagna Twitter. Questa è stata un’idea geniale che risponde alla richiesta del patriarca Sako, che ha invocato dai musulmani gesti di vicinanza concreti, non parole. Ha chiesto: dove siete voi musulmani moderati?
Il gesto di questi musulmani è isolato?
Purtroppo la maggior parte dei musulmani tace. Io capisco quelli che vivono nelle zone dove governa lo Stato islamico e che rischierebbero la vita. Però mi chiedo: il grande imam della moschea di Al Azhar in Egitto perché non parla? Che paura puoi avere se ti trovi al Cairo? Molti non parlano contro le crocifissioni, le lapidazioni e le amputazioni perché sanno già cosa si sentirebbero rispondere: non avete letto il Corano? Quando i terroristi compiono questi atti prima citano il Corano. E questo è un problema.
Certo. A Raqqa, ad esempio, sono molto pignoli con le accuse di politeismo e hanno tappezzato i muri della città (foto a destra) con manifesti che riportano: “Chi appende un amuleto [allo specchietto retrovisore della macchina] commette politeismo”. C’è anche una squadra di donne che pattuglia le strade controllando che nessuna donna violi il rigido codice di abbigliamento. Diciamo che fanno il loro catechismo.
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6 commenti
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La richiesta potrebbe essere fatta ufficialmente in virtù della L. 24.06.1929 n. 1159 e rd 28.02.1930 n. 289 (Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e norme di attuazione) affinché si verifichi che “la confessione religiosa professata non sia portatrice di una concezione di vita che induce a vivere il rapporto tra fedeli e Stato secondo modalità profondamente diverse dai convincimenti religiosi o meno che la maggioranza dei cittadini recepisce come disvalori e incompatibili con il nostro ordinamento giuridico”. In tal caso, però, si ricerchi il significato della parola “taqyya”.
…..qualche tempo fa Magdi Cristiano Allam diceva che in fondo in fondo, il musulmano moderato non può esistere…..
Beh, per sapere cosa ne pensano gli islamici cosiddetti “moderati” di casa nostra, basta andare a vedere il sito dellUCOII (Unione delle Comunità Islamiche in Italia). Semplicemente non ne pensano NIENTE.
Un silenzio assordante e vomitevole. Del tutto identico, fra l’altro, alla stampa vigliaccona che – di questo silenzio connivente – non osa chiedergliene conto.