Il Santo Sepolcro, il fiume Giordano, il muro del pianto dove gli ebrei ricordano l’inizio della diaspora. Stanno visitando la terra dove è nata la fede che li ha tenuti vivi e desti in quei due mesi di prigione a 600 metri di profondità, intrappolati nelle viscere della miniera in cui stavano lavorando.
La grande vicenda umana e di fede dei 33 minatori cileni trova la sua sintesi in questi giorni in Terra Santa, dove 24 dei 33 uomini si trovano in pellegrinaggio con le loro famiglie su invito del ministero del Turismo israeliano. «È una benedizione essere qui, nei luoghi di Dio che abbiamo tanto invocato dalla miniera, perché ci desse forza e coraggio», ha detto José Enriquez, uno dei “los 33” al suo arrivo a Gerusalemme.
«La fede è la cosa più importante della mia vita, che ci ha fatto rimanere uniti e vivi in miniera», ha aggiunto il 63enne Mario Gomez, uno dei “leader” di quella resistenza sotterranea. Il soggiorno in Terra Santa durerà fino al 3 marzo e domenica il gruppo verrà ricevuto a Gerusalemme dal presidente israeliano Shimon Peres.