Va bene che di solito sono quelli degli altri i conti sbagliati, ma questa volta Achille Occhetto ha avuto una bella faccia tosta a contestarli al suo successore alle Botteghe Oscure Massimo D’Alema, attuale presidente del Consiglio. Irriducibile nella nostalgia per la segreteria del maggiore partito della sinistra italiana, e nel rancore per chi gliela tolse nel 1994, a seguito della clamorosa sconfitta nello scontro elettorale con Silvio Berlusconi, Occhetto ha tratto lo spunto dall’affare Mitrokhin per lamentare che non siano stati fatti nel suo partito per intero i conti con il passato comunista. Eppure fu proprio lui dopo il crollo del muro di Berlino, quando lanciò dalla Bolognina la campagna per il cambiamento anagrafico del Pci, a rifiutare l’ipotesi che i comunisti italiani potessero tornare alla tradizione e al nome del socialismo, non foss’altro per essere coerenti con la pratica già avviata di ammissione al Partito Socialista Europeo, cioè all’Internazionale socialista. Oltre che coerente con questa pratica, l’adozione del nome socialista avrebbe veramente significato la chiusura dei conti con il passato. Avrebbe riportato i comunisti a Livorno, dove nel 1921 uscirono dal Psi per assumere come punto di riferimento ideologico e politico il bolscevismo instaurato a Mosca da Lenin. Contestare ora a D’Alema ciò che egli, pur di tenersi distante dall’odiato Psi di Bettino Craxi, non volle fare quando le circostanze storiche gliene diedero l’occasione, è cosa francamente penosa.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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