Viene dall’apparentemente casuale accostarsi di due fatti di cronaca, una rivelatoria cifra sulla civiltà del XXI secolo? Il primo è la serissima relazione di un gruppo di tre antropologi che per 2500 ore di fila hanno studiato una particolare “tribù” contemporanea: le 14 famiglie di Silicon Valley. Poche iperboli sono state risparmiate per descrivere questa ristretta fascia di terra di 35 città nelle contee californiane di Santa Clara, San Mateo, Alameda e Santa Cruz, tra San Francisco e San José, che ha registrato la maggior accumulazione di ricchezza della storia, dove tra 1996 e 2000 si sono creati 64 nuovi miliardari e 250.000 nuovi milionari (in dollari!), e dove i salari sono il doppio della media degli Stati Uniti. Lo stesso studio etnografico Silicon Valley Cultures Project ha descritto Silicon Valley come una “tecnobole”, una “terra dell’iperbole tecnologica”. Eppure la storia di Silicon Valley è in fondo la stessa, così tipica in Italia, di una zona depressa, che una serie di azzeccati investimenti infrastrutturali fa decollare alla dimensione di “distretto industriale”. L’origine è in un parco di terre in disuso della “Scuola di Ingegneria di Stanford” su cui il decano accademico, Frederick Teman, negli anni ’50 creò un parco industriale. Negli anni ’70, con l’invenzione del personal computer, questa modesta sinergia tra ricerca accademica e impresa iniziò ad esplodere alle dimensioni di oggi. Tra i vari ingredienti del boom, sono stati individuati gli investimenti federali nell’industria della Difesa, che riempirono la zona di ingegneri e tecnici; la vicinanza con Stanford e con l’altro campus di Berkeley; i primi lavori di Bill Hewlett e David Packard, i guru delle stampanti; e perfino il tempo assolato, che avrebbe permesso di lavorare con più agio!
Rimproveri via e-mail
Quel che a Silicon Valley non c’è, invece, è il silicone, la materia prima dell’intelligenza artificiale. E neanche c’è silicone negli altri cloni di Silicon Valley riprodotti nel resto degli States: dalla Silicon Alley di New York, nel centro di Manhattan; alla Silicon Gulch texana, tra Houston, Austin e Dallas; al Silicon Barrio di Miami. Eppure Silicon Valley Cultures Project lancia l’immagine dell’Homo Siliconus. Assieme ad un allarme: non è tutto oro quello che luce. Il milione di persone che lavora a Silicon Valley guadagna in media il doppio che nel resto del Paese. Ma mentre nel resto del Paese le famiglie di ceto medio possono pagare il 60% delle case offerte sul mercato, il livello dei prezzi a Silicon Valley è tale che, malgrado i salari doppi, il livello precipita al 16%. Poi ci si è messa la crisi del Nasdaq, con i licenziamenti, l’arrivo dei primi sindacati e con il riutilizzo delle stock options come indennità di fine rapporto. Ma ciò che ha interessato soprattutto i tre antropologi, più che le disgrazie dei nuovi disoccupati, è stata la crescente deformazione mentale degli occupati, col debordare delle categorie mentali lavorative nella vita privata. Invece di portare i figli allo zoo li accompagnano al negozio di elettronica. Se tornano con una brutta pagella, gli fanno una predica sul “dovere di essere più produttivi”. Per giunta, con e-mail dal lavoro, piuttosto che faccia a faccia. La stigmata dell’“uomo di silicone” è nell’essere ossessionato dai circuiti siliconici per mantenersi in contatto con tutto e tutti: via pc, tv, wap, cellulari, bipers…
Rifarsi i glutei nell’età del silicone
Quella di “Miss Silicone” è notizia più frivola. È la diciottenne Juliana Dornelles, divenuta Miss Brasile malgrado la confessione di essersi sottoposta a ben 18 interventi chirurgici, per modellare il suo corpo: da un’iniziale liposuzione con impianto di silicone ai seni, via via si è fatta ritoccare gli zigomi, ingrossare il labbro superiore, rettificare la linea della mandibola, accentuare la curva lombare, arrotondare il mento, eliminare nei, ridisegnare le orecchie. «Dovrei farmi mettere un po’ di silicone nei glutei», dice. «Ma per il resto, sono contenta. Con soli 7500 dollari, sarò io a rappresentare il Brasile nella gara per Miss Universo». In America Latina i concorsi di bellezza sono considerati quasi altrettanto importanti del calcio: esistono scuole per insegnare alle ragazzine a muoversi sulle passerelle ed è normale che le vincitrici si vedano offrire incarichi diplomatici. Era passata da Miss Venezuela e Miss Universo a addetta culturale negli Usa Irene Saenz, prima di diventare sindaco, candidato alla presidenza della repubblica e governatore dell’isola di Margarita. E pure Melba Ruffo di Calabria fece carriera da Miss Santo Domingo all’incarico di addetta culturale a Roma per le “Colombiadi” del 1992. Il silicone è quasi un broglio elettorale. Ma il regolamento non lo vieta esplicitamente e Juliana l’ha spuntata, malgrado le definizioni di “Miss Silicone” e “Miss Frankenstein” della stampa. Anzi, viene esibita come una risorsa nazionale. Da tempo le cliniche di chirurgia plastica brasiliane fanno una concorrenza serrata a quelle Usa, sostenendo di poter offrire risultati analoghi a prezzi stracciati. La Miss truccata diventa un biglietto da visita. L’apparenza e la sostanza si ricongiungono. L’intelligenza artificiale, al silicone, e la bellezza artificiale, pure al silicone. Gli antichi favoleggiarono di un’età dell’oro. Dante ne sviluppò il mito del Veglio di Creta: «La sua testa è di oro fino formata,/ e puro argento son le braccia e il petto,/ poi è di rame infino alla forcata;/ da indi in giuso è tutto ferro eletto,/ salvo che ‘l destro piede è terra cotta». Una decadenza nella nobilità dei materiali della grande statua dalle cui crepe sgocciolano le lagrime che formano i fiumi dell’Inferno, a rappresentare la decadenza progressiva dell’umanità. In epoca moderna, gli archeologi hanno sviluppato questa metafora nel senso più concreto della materia prima che aveva dominato la tecnologia nelle differenti epoche preistoriche e protostoriche: l’età della pietra, del rame, del bronzo, del ferro. Dell’anno 2000 si è quindi favoleggiato che sarebbe stata “l’Età dell’Atomo”. Invece, le centrali nucleari sono state messe al bando e gli arsenali atomici stanno venendo faticosamente smantellati. Nel bene e nel male, siamo entrati nell’Età del Silicone.