di Chris Columbus con Daniel Radcliffe, Richard Harris
Harry Potter, un ragazzino inglese, scopre d’un tratto di avere degli incredibili poteri magici.
Una volta (bei tempi) li arrostivano: a volte sbagliavano (siamo sempre uomini), spesso ci azzeccavano (Giordano Bruno). Nel nuovo millennio, maghi, stregoni e streghe diventano d’un tratto eroi magnetici e figure imitabili per ragazzini da dieci anni in su. Merito di una mastodontica operazione di marketing, o della faccia pulita e accattivante di maghetti che sembrano usciti da una pubblicità di cioccolatini? Harry Potter è un lungo (2 ore e mezza) e bolso spot del “volemose bene” dove il Male e il Bene sono fin troppo distinguibili (tanto da essere divisi persino in due squadre). Sono per il Bene le faccine pulite, gli sfigati ciccioni, i ragazzi di colore e i clochard; per il Male è invece la squadra dei Serpi Verdi, capeggiata da un nazista biondo e da un sosia di Renato Zero. Saranno solo favole, ma anche le favole comunicano certi valori, e qui siamo ai saldi del Maurizio Costanzo Store: tolleranza, apertura per il diverso, amore a iosa, e un sospetto metodo educativo che vuole il talento bastare di per se stesso (nella scuola dei maghi, Harry da chi impara se sa già tutto ed è accolto come un messia?).
La Direzione non censura. Stigmatizza. Avanti così e arrosto finirà il nostro amato stregone. Fortunato, no? L.A.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi