La preghiera del mattino
Sbaglia il Pd a scommettere ancora sull’asse con la magistratura militante
Sul sito di Tgcom 24 si scrive: «“Un primo pacchetto di provvedimenti – improntati a garantismo e pragmatismo – è pronto per essere sottoposto al Consiglio dei ministri e poi al dibattito parlamentare”. Lo annuncia Nordio, intervenendo anche lui a Napoli, alla cerimonia di apertura. La Scuola, auspica il guardasigilli, “potrà diventare – ancora una volta – preziosa ‘palestra’ di conoscenza anche per le riforme che nelle prossime settimane presenteremo”. “L’amministrazione della giustizia è proprio servire lo Stato e i suoi cittadini, per questo occorre renderla più efficiente e allo stesso tempo di qualità”, aggiunge Nordio, ribadendo che la sfida è “consolidare l’essenziale fiducia dei cittadini nella giustizia e in chi la amministra, a cominciare da una magistratura autenticamente indipendente e autonoma, baluardo di ogni Stato democratico”».
Alla fine Nordio si è messo in movimento. Un’articolata banda di forcaioli ha attribuito le sue mosse alla morte di Silvio Berlusconi che avrebbe dato una copertura emotiva a provvedimenti coerentemente garantisti. Non è una sorpresa. Si sa che alle iene piace giocare con i cadaveri.
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Su Startmag Francesco Damato scrive: «Naturalmente la partenza è bastata e avanzata per provocare quella che il Corriere della Sera ha definito “alta tensione” fra Nordio e magistrati. Ai quali il ministro ha ricordato che il loro compito è di applicare le leggi approvate liberamente dal Parlamento, senza giudicarle e tanto meno interferire in vario modo per scriverle al suo posto, come è stato tanto a lungo permesso. Anche il presidente della Repubblica, e del Consiglio superiore della magistratura, Sergio Mattarella, presente lo stesso Nordio, ha voluto cogliere l’occasione offertagli al Quirinale dall’incontro con le toghe di turno reduci dal tirocinio per esortarle, fra l’altro, alla “irreprensibilità e riservatezza dei comportamenti individuali, così da evitare i rischi di apparire condizionabili o di parte” e sottrarsi alla tentazione di “personalismi, arroccamenti su posizioni precostituite”, e soprattutto di “pericolosa percezione di voi stessi quali autorità morali”. Sono per fortuna lontani i tempi in cui dal Quirinale il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro correva alle assemblee sindacali delle toghe per assicurarle che mai e poi mai, per esempio, avrebbe firmato una legge per la separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici, di cui già allora si parlava».
Damato osserva come il nucleo dei forcaioli guidato da Marco Travaglio abbia subito reagito alle proposte legislative di Carlo Nordio con un certo seguito dell’ala più militante della magistratura. Però secondo Damato non c’è più quella copertura che il Quirinale ha offerto nel post ’92 all’attivismo di una certa parte delle toghe sia di sinistra sia di una destra corporativa. Di questi tempi invece Sergio Mattarella ha invitato alla pacatezza e alla razionalità. La nostra Costituzione, nata durante la Guerra fredda, ha dato un sorta di ruolo alla presidenza della Repubblica, quello di garante il rispetto delle alleanze internazionali in senso anticomunista fino al 1992, diventato senso europeista e atlantista dopo quell’anno. I legami tra Giorgia Meloni e l’amministrazione Biden, la dialettica nell’Unione Europea anche fra francesi e tedeschi, hanno offerto l’occasione al governo italiano per tornare a gestire con la necessaria autonomia la propria politica estera e quella sulla giustizia, inducendo il Quirinale a riprendere un ruolo (liberaldemocraticamente più corretto) di vigilanza super partes piuttosto che interventista.
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Su Formiche Franco Di Bisceglie scrive: «Se la linea ufficiale del Pd è quella della contrarietà all’abolizione del reato di abuso d’ufficio, sancita ieri all’esito del Consiglio dei ministri, gli amministratori locali dem si schierano invece dalla parte di Carlo Nordio. Proprio il ministro della Giustizia, nella cornice più generale di una riforma profonda dell’ordinamento giudiziario, ha infatti voluto fortemente l’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale. Probabilmente tra gli amministratori dem prevale la linea del pragmatismo su quella della contrapposizione ideologica. Tanto più che, a fronte di circa cinquemila procedimenti che vengono avviati ogni anno (spesso a carico di amministratori locali), la quasi totalità non sfocia in un processo e, quand’anche si arrivi al processo, l’esito è più o meno sempre il medesimo: l’archiviazione. Su questo ha tratteggiato un quadro piuttosto chiaro anche il consigliere giuridico del ministro, Bartolomeo Romano, nella sua intervista a Formiche.net. Il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, al Corriere della Sera esprime un giudizio favorevole all’iniziativa assunta dall’esecutivo sull’abuso d’ufficio: “Eliminando il reato”, spiega, “si risolve il problema alla radice”. Benché Decaro affermi di non avere le competenze tecniche per stabilire se il superamento della fattispecie sia positivo o negativo, fa leva sui dati relativi ai processi che coinvolgono gli amministratori locali. “Il problema dell’abuso d’ufficio è serio per i sindaci” spiega al Corriere. “Il 67 per cento di chi riceve un avviso di garanzia non va nemmeno a processo”».
L’insipienza politica di Elly Schlein è stata subito evidente: si consideri per esempio la contrapposizione così frontale a uno dei pochi esponenti del Pd con seri legami popolari cioè Vincenzo De Luca. L’unica sua vera idea politica è quella di fare concorrenza ai 5 stelle per cercare di recuperare a sinistra quello che perde nell’elettorato riformista. Però questo orientamento non riuscirebbe a prevalere se non fosse ancora forte la nostalgia di quegli esponenti del Pd, tipo Dario Franceschini, che pesavano politicamente perché reggevano le vecchie reti di ex sinistra Dc e ex Pci protette dalla magistratura più militante e da ampi sistemi di influenza internazionale.
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Su Dagospia si riprende un articolo di Luigi Ferrarella per il Corriere della Sera dove si scrive: «Ancor più della richiesta finale di condanna a 1 anno e 4 mesi per rivelazione di segreto d’ufficio (nella primavera 2020 dentro e fuori al Consiglio superiore della magistratura) dei verbali milanesi dell’avvocato esterno Eni Piero Amara sulla presunta associazione segreta “loggia Ungheria”, consegnati al membro Csm Piercamillo Davigo dal pm milanese Paolo Storari che lamentava l’impasse dei suoi capi nell’indagare per distinguere in fretta tra verità e calunnie di Amara, nella requisitoria di martedì dei pm bresciani suona sanguinoso per Davigo un sottotesto: l’accusa di “aver scelto una via privata alla soluzione di problemi pubblici, per sfiducia personale nelle procedure istituzionalmente preposte a eventualmente trattarle”».
I nostalgici piddini delle vecchie rendite di posizione garantite da certa magistratura militante dovrebbero comprendere che è finita un’epoca: il caso Palamara, il processo all’Eni, quello sulla trattativa Stato-mafia e ora il processo a Piercamillo Davigo dovrebbero far loro capire che tra i magistrati è passata la paura per un Csm dominato dalle toghe militanti e per un sistema (anche internazionale) che chiedeva al potere giudiziario di surrogare la politica, e dunque i pm e i giudici più seri ed eticamente motivati, di destra o di sinistra che siano, hanno potuto tornare a svolgere seriamente il loro indispensabile ruolo.
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