Fra pochi giorni, il 5 giugno, ricorre il 40esimo anniversario dello scoppio della Guerra dei sei giorni tra Israele e i suoi vicini arabi. Quello che ci interessa in questo evento cruciale nella storia del Medio Oriente è che lo Stato ebraico ha esteso in quell’occasione il suo controllo sulla parte orientale di Gerusalemme, fino ad allora sotto amministrazione giordana. Gli israeliani parlano di “riunificazione” della Città Santa che considerano loro “capitale unica e indivisibile” in base a una legge del 1980, mentre i palestinesi rivendicano proprio quella parte occupata nel 1967 come capitale del loro futuro Stato indipendente. Secondo la legge internazionale – e so che questo non troverà concordi alcuni nostri lettori – Gerusalemme Est è, infatti, parte dei cosiddetti Territori occupati. Sebbene i negoziati tra palestinesi e israeliani siano fermi, per diversi motivi, da parecchi anni, è innegabile che una soluzione equa e duratura del problema mediorientale non potrà non contemplare un giorno anche una soluzione per Gerusalemme. La Santa Sede aveva a lungo sostenuto l’applicazione di un regime internazionale per la Città Santa, ossia la costituzione di un “corpus separatum” governato dalle Nazioni Unite in grado di garantire libertà di culto e di accesso ai luoghi santi per i fedeli delle tre religioni monoteistiche. Se questa soluzione appare oggi, purtroppo, poco praticabile, allora bisogna accettare che ogni genuino futuro accordo di pace debba passare attraverso la restituzione di una parte di Gerusalemme ai palestinesi. Lo dico per amore di giustizia, per sollecitudine verso la sopravvivenza della comunità cristiana in Terra Santa e per premura verso lo stesso futuro dello Stato d’Israele. [email protected]
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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