Cari Sheva e Zangrillo, mi raccomando: con l’angoscia al Genoa abbiamo già dato

Di Roberto Perrone
21 Novembre 2021
Piccolo trattatello di genoanità ad uso esterno, ma soprattutto interno perché è una specie di seduta di autoanalisi. Oggi la sfida con la Roma
Il nuovo allenatore del Genoa, Andriy Shevchenko, con Josh Wander di 777 Partners (foto Ansa)

Genoa per noi (plurale maiestatis) è un’idea come un’altra. E molto personale. Piccolo trattatello di genoanità ad uso esterno, nel senso che è pubblicato su questo foglio online e quindi si spera che lo leggiate numerosi, ma soprattutto interno perché è una specie di seduta di autoanalisi.

Un Genoa berlusconizzato

Dunque, prima della sosta per i malinconici pareggi (che sono diventati spareggi) dell’Italia, avevano un presidente e un allenatore e adesso, con il campionato che riprende ne abbiamo altri due. In panchina è arrivato Andriy Shevchenko, Pallone d’oro, vincitore della Champions League, attaccante del Milan Galactico di Berlusconi & Galliani. Sul più alto scranno dirigenziale invece si è seduto Alberto Zangrillo, famoso come medico di Silvio Berlusconi (un Genoa berlusconizzato, mi verrebbe da dire), ma soprattutto primario di chiara fama (again) al San Raffaele, infine, soprattutto-soprattutto, genoanissimo di chiara fede. Il popolo applaude. Per la presentazione di Sheva, come non accadeva da anni per un tecnico del Grifo, sono arrivati giornalisti da Milano. Per la presentazione di Zangrillo, lunedì, nientepopodimeno di Palazzo Ducale, direttamente su piazza De Ferrari, al centro di Zena.

Tutti entusiasti, quorum ego, ma la frequentazione di Fred Perri mi ha fatto diventare un po’ cinico. Cioè, belin, tra le due presentazioni c’è di mezzo la partita con la Roma e bisogna fare punti. Perché con il fondo 777 mi piacerebbe avere una vita normale, da tifoso di centro classifica, non dico da inseguitore dello scudetto come si vedono tanti fratelli. Un miglioramento insomma, con juicio.

Grand Hotel Preziosi

Ho criticato Enrico Prezosi per anni, per i suoi peccati e i suoi errori. Il più grande è stato quello di pensare di andare avanti giocando con le figurine a ogni sessione di calcio mercato, vendendo i migliori dopo pochi mesi. E non sempre è stato un bene, per tutte le parti in causa. Krzysztof Piątek, ad esempio, rifilato al Milan a gennaio, era meglio per tutti se si faceva altri sei mesi col Grifo, a sfangare, invece di credersi già arrivato.

Il Genoa nella seconda parte della gestione Preziosi è stato un Grand Hotel, «gente che va, gente che viene, tutto senza scopo», come diceva il dottor Otternschlag nel film con Greta Garbo. Decine, centinaia di giocatori, un valzer di nomi. Io faccio sempre un gioco: in ogni partita, di qualsiasi campionato europeo, cerco se c’è un ex giocatore del Genoa in campo. Ne trovo sempre qualcuno.

L’assenza di continuità, la perdita dell’identità è stato il peccato di Preziosi. Però nella continuità della sofferenza, ha avuto la continuità di tenere il Genoa in serie A dal 2007. Ora siamo nelle mani del fondo 777. Bene, bravi bis, cioè altri quindici anni così, almeno, per quanto riguarda la permanenza nella serie maggiore, ma non così per le angosce, le panchine esplose, le rose variabili, la salvezza arpionata sulla fischio finale, ansimanti.

Qualche risultato lo vorremmo vedere

Spesso i miei fratelli rossoblu si fanno trascinare dalla passione. Lo capisco, se non siete mai stati nella Nord, non ci arrivate. Però io non la penso, o almeno no del tutto, malgrado il mio amore sconfinato per il professor Franco Scoglio, come il mitico Aldo Spinelli, prima di Preziosi il miglior presidente del Genoa della storia (dal Dopoguerra di sicuro). Nel 1993 richiamò Scoglio. Andai alla conferenza stampa di presentazione. La sede allora era in via Roma, in centro. A un certo punto Spinelli disse: «Ho richiamato Scoglio perché non mi sono mai divertito tanto come con lui». Stavo per interromperlo dicendogli: scusi, ma io non mi sono mai divertito tanto come con Osvaldo Bagnoli, quarto posto ’91, con la Juventus battuta due volte e, l’anno dopo (’92), la semifinale di Coppa Uefa conquistata con la vittoria (la prima di una squadra italiana) ad Anfield Road, doppietta di Pato Aguilera. I was there. Lui, quasi leggendomi nel pensiero, aggiunse: «Perché i risultati non sono tutto nella vita».

Verità sacrosanta. Però, un tifoso del Genoa come me, ogni tanto, qualche risultato lo vorrebbe vedere. Questo, oggi, all’inizio di quest’alba zangrilshevana, che appare radiosa, vorrei sommessamente dire ai ragazzi, mi sembrano dei giovanotti, del fondo 777. Con l’angoscia, emmu za detu.

E come direbbe Fred Perri, se non capite, affari (lui avrebbe usato un altro termine) vostri.

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