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Fracking e shale gas fanno la fortuna dell’America. L’Europa «è ferma al palo»

Mentre gli Usa raggiungeranno l'indipendenza energetica nel 2020, noi siamo in preda a "leggende nere". Il libro di Giuseppe Recchi, presidente di Eni, sulla rivoluzione energetica che ci stiamo perdendo

Matteo Rigamonti
28/02/2014 - 2:00
Economia
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Lo shale gas per risparmiare sul costo dell’energia, far ripartire la manifattura e portare così l’Europa e l’Italia fuori dalla crisi. A rilanciare con forza l’importanza della «rivoluzione energetica» del gas di scisto è Giuseppe Recchi, presidente di Eni, nel suo ultimo libro Nuove Energie. Le sfide per lo sviluppo dell’Occidente, con prefazione di Sergio Romano. Nel libro Recchi ricostruisce con cura le principali tappe che hanno portato dalla scoperta dei primi giacimenti di petrolio, nella seconda metà dell’800, alla rivoluzione innescata solo una decina di anni fa da George P. Mitchell, il pioniere del fracking, la tecnica di fratturazione o frantumazione idraulica, che ha permesso l’estrazione del gas dagli scisti argillosi, rocce a bassa permeabilità situate molto al di sotto della superficie terrestre e impregnate di gas (shale gas) e petrolio (shale oil). Preziosissime risorse che consentiranno agli Stati Uniti d’America di raggiungere nel 2020 l’indipendenza energetica per il gas e ridurre ad appena il 30 per cento le importazioni di petrolio, ma che in Europa sono ancora viste con eccessivo sospetto e diffidenza. Spesso a motivo di infondate preoccupazioni ambientali, “leggende nere” e bugie sul fracking.

giuseppe-recchi-nuove-energieRIVOLUZIONE SENZA PRECEDENTI. «La portata della rivoluzione innescata da George Mitchell è enorme», scrive senza ricorrere a mezzi termini Recchi. Se «nel 2000 lo shale gas rappresentava solo l’1% del gas naturale consumato negli Stati Uniti, al 2012 era circa il 25% e si stima che possa superare il 50% nel 2030». Dal 2008, poi, si è «registrato un boom senza precedenti di produzione domestica americana di shale gas». Tanto da destare l’attenzione delle major americane del petrolio, prima quasi totalmente disinteressate, e «invertire il declino della produzione di petrolio americano iniziato negli anni settanta». «Oggi – prosegue Recchi – gli Stati Uniti potrebbero mettersi in concorrenza con paesi da cui prima dipendevano strettamente, come Qatar o Nigeria». Ma lo shale gas «esiste in quantità più o meno rilevanti anche in Argentina, Algeria, Messico, Egitto, oltre che in Ucraina e pure in Europa: in Polonia, Francia e Regno Unito». Per non parlare poi della Russia, che può essere il nostro Texas, come ha detto l’ad di Eni Paolo Scaroni. Anche se l’Europa «finora è rimasta al palo», nonostante per di più paghi «i prezzi più alti del mondo per l’elettricità, in parte anche a causa di costosissimi sussidi alle energie rinnovabili corrisposti da tutti gli utenti attraverso supplementi alla bolletta elettrica».

RILANCIARE LA MANIFATTURA. L’aspetto forse più significativo di una simile rivoluzione energetica è che in America «i prezzi molto bassi dello shale gas registrati nel 2013 – circa un terzo che in Europa, meno di un quarto rispetto al prezzo spot in Asia – stanno comportando un enorme vantaggio per le industrie energivore, che vuol dire in primo luogo le imprese manifatturiere». E se è vero che, come spiega Recchi, «non c’è crescita senza energia», si capisce come la «disponibilità e il costo dell’energia siano fattori in grado di determinare la nascita o la morte di interi settori industriali ed economici». Una legge le cui negative implicazioni sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti nel Vecchio Continente – Italia in primis – un tempo culla della rivoluzione industriale, ora mestamente abbandonato dalle imprese in favore di sempre nuove economie nascenti. Peccato che intanto l’industria petrolifera statunitense, «stia vivendo una seconda giovinezza» grazie allo shale gas e «l’occupazione diretta nel settore Oil&Gas in Usa è più che raddoppiata, passando da circa 240 mila addetti nel 2003 alle quasi 600 mila unità odierne». Considerando anche l’indotto «nei prossimi dieci anni alcuni analisti prevedono fino a tre milioni di nuovi posti di lavoro».

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L’EUROPA DORME. Secondo alcune stime, prosegue Recchi, «in Europa ci sono giacimenti di shale gas per 13 mila miliardi di metri cubi. E tuttavia non c’è traccia di un equivalente europeo di quanto avvenuto negli Stati Uniti». Solo la Polonia e il Regno Unito stanno muovendo i primi passi. Il presidente di Eni, inoltre, se dovesse fare una previsione o una scommessa «scommetterei che il gas da argille non renderà l’Unione europea indipendente dalle importazioni da Russia, Algeria, Libia, Norvegia e Qatar». «Non lo dico per ragioni di carattere geologico, ma politico». La politica energetica dell’Unione europea, infatti, come ammette Recchi, «è appannaggio dei singoli stati (nel nostro paese, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia rientrano addirittura fra le competenze concorrenti di stato e regioni!)». Una follia, che «fa sì che molte economie di scala restino inespresse, ma soprattutto che manchi una direzione, una visione chiara che aiuti a costruire il futuro». Futuro, peraltro, non troppo roseo, visto che «nel migliore degli scenari, dovremo accontentarci di un misero +1,5% di crescita. In Italia, la percentuale sarà ancora più bassa».

PIÙ PRAGMATISMO, MENO IDEOLOGIA. I suggerimenti profusi dall’autore, che sono il frutto della sua più che ventennale esperienza accumulata in Recchi Costruzioni, General Electric ed Eni, non si limitano esclusivamente al campo dello shale gas e alla tecnica estrattiva del fracking, ma abbracciano l’economia italiana nel suo complesso. «Tutto quello che crea la competitività di un Paese va pianificato per tempo», scrive il presidente di Eni. Come, per esempio, «la digitalizzazione prima che la sua mancanza diventi un problema, la costruzione di un rigassificatore o di altre infrastrutture prima che si crei una situazione di fabbisogno energetico. Ma lo stesso ragionamento vale anche per un settore come il turismo. È una forma mentis da applicare a tutte le riforme: più pragmatismo e meno ideologia».
All’Italia, scrive Recchi nell’introduzione al suo libro, per uscire dalla crisi «servono strategie di lungo periodo ma decisioni molto rapide». «Il nostro Paese deve prendere decisioni importanti, i cui effetti non saranno immediati, ma quanto mai significativi». L’Italia, infatti, «deve competere con il resto del mondo per attrarre risorse e intelligenze, capitali e tecnologie». E se è vero che da noi «c’è mancanza di competenze specifiche», soprattutto «vanno recuperate quelle che hanno fatto le eccellenze del nostro Paese. Com’è possibile – si domanda Recchi – che ci sia ogni anno una produzione di 48 mila laureati di cui non c’è domanda a fronte di una richiesta di 43-44 mila giovani competenze tecnologiche?». Una domanda che ancora da troppo tempo attende una risposta.

@rigaz1

Tags: bolletta energeticacosto energiaenifrackinggas di scistoGeorge P. Mitchellgiuseppe recchipaolo scaronirisparmio energeticoscistishale gas
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