“L’esercito di Muammar Gheddafi si sta rapidamente trasformando e adattando alla guerra. Il colonnello ha dato l’ordine ai suoi di diventare ribelli contro i ribelli, guerriglieri di stato, partigiani di una nuova guerra di liberazione contro il regime di Bengasi. E’ stato prontamente obbedito. I suoi soldati hanno spostato i carri armati e i blindati nelle vie strette tra le case, dove sono più difficili da colpire senza provocare vittime civili […] e ora si spostano a bordo di macchine civili, di furgoni e di roulotte” (Foglio, p. 1).
I ribelli, dopo essersi ritirati per 250 chilometri da Sirte verso Bengasi, si sono attestati a Brega, che è diventato il nuovo fronte della guerra. I ribelli erano “terrorizzati da un’arma primordiale come i missili Grad, semplici tubi spara razzi montati sul retro di camion. […] I soldati e i mercenari di Gheddafi si mescolano al traffico civile, dall’alto sono diventati virtualmente indistinguibili dai loro avversari e i caccia della Coalizione saranno costretti a mille cautele in più prima di colpire. I giorni delle colonne di carri armati da incenerire sono finiti” (Foglio, p. 1).
Gli uomini del colonnello non sembrano più frettolosi come prima ma disposti ad aspettare, a protrarre gli scontri fino allo sfinimento, approfittando della deboleza intrinseca agli attacchi aerei: “La guerra dall’aria con bombe e missili ha un difetto di nascita: non può essere sostenuta a lungo e non riesce a conseguire risultati definitivi, a meno che non sia seguita da un’operazione di terra su larga scala. […] Nessuno dei partecipanti è intenzionato a mandare un contingente di soldati con i loro anfibi sul terreno. […] Alla domanda sull’invio di truppe, Bob Gates, segretario della Difesa americano, ha risposto: «Non finché io faccio questo mestiere»” (Foglio, p. 1).