Da sempre le pandemie sono terreno fertile per le teorie cospirazioniste, a volte frutto di cliché culturali diffusi, a volte alimentate dai servizi segreti dell’uno o dell’altro paese per indebolire il proprio avversario: si pensi all’Aids, per molto tempo attribuito a esperimenti di guerra batteriologica americani da una campagna di disinformazione orchestrata dal Kgb sovietico nei primi anni Ottanta, come ebbe ad ammettere nel 1992 il suo direttore Evgenij Primakov (che poi sarebbe diventato ministro degli Esteri e primo ministro della Federazione Russa).
L’epidemia del Covid-19 ha visto accuse incrociate fra Cina e Stati Uniti che non si sono limitate a post di utenti delle piattaforme social, ma che sono arrivate al livello dei pubblici ufficiali dei due paesi: come rappresaglia all’uso da parte del presidente Donald Trump e del segretario di Stato Mike Pompeo delle espressioni “virus cinese” e “virus di Wuhan”, ritenute stigmatizzanti, la Cina ha incoraggiato la diffusione sui media di articoli che attribuiscono agli Stati Uniti la responsabilità della diffusione del virus. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha twittato: «Potrebbe essere stato l’esercito americano a portare l’epidemia a Wuhan. Siate trasparenti! Rendete pubblici i vostri dati! Gli Usa ci devono una spiegazione».
Ebrei untori, una vecchia storia
Premesso questo, potevano mancare, nell’era dei social media, teorie cospirative che attribuiscono agli ebrei la responsabilità dell’epidemia? Certamente no. Siamo di fronte al rinnovarsi di un fenomeno secolare, che in passato ha avuto conseguenze tragiche: negli anni della peste nera in Europa (1347-1351) le accuse contro gli ebrei di essere gli untori della malattia causarono pogrom che portarono alla completa distruzione di 200 comunità ebraiche su tutto il continente. La cosa si fa più preoccupante quando, come nel caso delle accuse cinesi agli Stati Uniti, ad alimentare la credenza nel complotto non sono più o meno sconosciuti utenti di Facebook, Telegram o Twitter, ma personalità istituzionali e organi di stampa mainstream. Ai tempi della peste nera papa Clemente VI emanò una bolla per attestare che gli ebrei non erano colpevoli della peste, oggi invece personalità politiche e organi di stampa incoraggiano le accuse.
«Il sionismo è il batterio»
In Turchia sui social media circolano video di gente comune che discute sull’autobus delle responsabilità degli ebrei nella diffusione del virus. Le discussioni echeggiano le parole pronunciate il 6 marzo scorso da Fatih Erbakan, leader della formazione islamista Nuovo Partito del Benessere (Yeniden Refah Partisi) e figlio dello storico leader islamista Necmettin Erbakan, del cui pensiero politico lo stesso presidente Erdogan è debitore. In un intervento pubblico costui ha affermato:
«Anche se non ne abbiamo la prova certa, questo virus serve gli interessi del sionismo, che sono quelli di diminuire il numero degli esseri umani e di impedire che cresca. Il sionismo è il batterio vecchio di cinquemila anni che ha causato la sofferenza di tanta gente».
Armi batteriologiche
In Iran vari organi di stampa hanno rilanciato i contenuti di un’intervista rilasciata dal noto complottista americano James Fetzer, professore di filosofia in pensione dell’Università del Minnesota, alla catena televisiva iraniana in lingua inglese Press TV, che è proprietà della Irib, la tivù di Stato iraniana. «Credo che quello a cui stiamo assistendo, sotto il mantello della pretesa epidemia di coronavirus, è un attacco con armi batteriologiche contro l’Iran da parte di elementi sionisti che sfruttano la situazione», dice Fetzer nell’intervista. «È per questo che l’Iran risulta essere colpito così duramente; in altre parole il coronavirus è usato come cortina fumogena per nascondere il fatto che i veri nemici dell’Iran stano deliberatamente prendendo di mira il popolo iraniano».
Poco dopo il sito di Press TV ha pubblicato un articolo di un altro cospirazionista americano, Kevin Barrett, il quale scrive che i lobbisti di United against a nuclear Iran (Uani), un gruppo di pressione americano favorevole alle sanzioni contro il governo di Tehran, «stanno cercando di amplificare la piaga del coronavirus in Iran, che sono sospettati essi stessi di avere messo a punto, perché altrimenti come potrebbe una compagnia (sic) israeliana pretendere di disporre di un vaccino contro il coronavirus in meno di due settimane, quando tutti gli scienziati dicono che di fronte a una nuova varietà di virus come questa ci vorrà almeno un anno per avere il vaccino?». Proprio così: il fatto che un laboratorio israeliano sia impegnato in prima fila nella ricerca e produzione di un futuro vaccino contro il Covid-19 non ha indebolito, ma rafforzato le tesi del complotto ebraico.
Il complotto del vaccino
Di fatti il giornale algerino Almasdar ha ripreso e fatta propria l’”inchiesta” del giornalista free lance francese di origine maghrebina Hicham Hamza secondo cui l’Istituto di ricerca israeliano Migal, che ha annunciato di poter sviluppare in tempi brevi un vaccino contro il Covid-19 perché ha appena messo a punto un vaccino contro un coronavirus dei polli ad esso molto simile, sarebbe finanziato da un miliardario francese «implicato nella creazione di un laboratorio ultrasensibile di virologia… a Wuhan, zona epicentro del virus». L’inchiesta tira in ballo una non meglio identificata associazione medica francese pro-sionista fondata da Simone Weil che sarebbe in rapporti col Migal e compare sul sito panamza.com, creato da Hicham Hamza. L’algerino Almasdar-dz (sito internet di Almasdar) ne dà notizia sotto il titolo “Una organizzazione sionista dietro il coronavirus e l’entità governativa che afferma di aver scoperto il vaccino”.
Naturalmente mettere a punto un vaccino non è la stessa cosa che disporre di un vaccino da somministrare alle persone: un vaccino messo a punto deve poi passare attraverso fasi di sperimentazione che durano mesi. Ma questa è una sottigliezza che ai fautori della cospirazione giudaica non interessa molto.
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