Mio caro Malacoda, oggi impégnati perché il crinale è stretto. Cercherò di mostrarti come una causa giusta possa essere buttata in vacca dai suoi stessi sostenitori, basta spostare un accento.
Dunque. Da un po’ di giorni quotidiani e televisioni parlano di “femminicidio”, brutta parola che vuole indicare l’omicidio volontario di una donna in quanto donna. Per questa fattispecie di reato due donne “di destra” hanno proposto una modifica del codice penale: a chi si macchia di questo delitto venga comminato l’ergastolo. Vista l’estrazione politica delle due proponenti ti saresti aspettato che gli intellettuali d’area le avrebbero sostenute, ma sono bastati due titoli di giornale del tipo “Pene più gravi per chi uccide una donna”, “L’omicidio di una donna merita l’ergastolo” per scatenare il cane di Pavlov che alberga in molti maschi: una vita è una vita, si vuole forse insinuare che quella di una donna vale di più di quella di un uomo?
Il giornalista “de sinistra” non li ha certo aiutati con argomenti come: “Sicurezza, omicidi in calo. Ma una vittima su quattro è donna”. Quel “ma” sembra fatto apposta (tu ne saprai qualcosa) per scatenare le polemiche; perché la logica e la matematica dicono che se una su quattro è donna, tre su quattro sono uomini. E sempre logica e matematica inducono a far di conto anche per la parte non espressa (noi diavoli siamo nel non detto, anche altrove, ma nel taciuto sempre): se in Italia 127 donne vengono uccise volontariamente in un anno (nell’80 per cento dei casi sono vittime di mariti o fidanzati) cioè una ogni 68 ore (così ancora sommari e occhielli per sensibilizzare al problema), con la stessa operazione un macho irritato si calcola l’altra metà del cielo, che poi è più della metà: 590 omicidi volontari nel 2011 meno 127 donne uguale 463 morti ammazzati “maschi”, uno ogni 19 ore. E sbotta: dov’è il problema?
Il problema è nell’accento, per creare l’eterna confusione e l’inarrestabile litigio che avvolge qualsiasi discussione in Italia, noi siamo riusciti a farlo spostare sulla vittima e a colorare ideologicamente anche questa disputa. Mentre l’accento va messo sull’omicida: il reato è più grave non solo per via del sesso della vittima, ma a causa dell’intenzione dell’assassino che del sesso della vittima ha fatto il movente delle sue pugnalate, ha ucciso una donna “in quanto donna”. Come i nazisti uccidevano gli ebrei “perché ebrei”. Hai presente quella barzelletta in cui il razzista dice: “Non sono io che sono razzista, sono loro che sono negri”?, ecco. Non c’è corpo di una vittima che valga più di un altro, oppure meno (“Uccidere un poliziotto o un fascista non è un reato”, si gridava un tempo e si tornerà presto a gridare in piazza), il peso, nel senso della gravità, è nell’intenzione, nell’animo. L’atto più grave è sempre un atto spirituale: l’omicidio volontario è più grave di quello colposo, quello razzista più grave di quello per rapina, quello efferato più grave di quello in preda a un raptus, quello premeditato… quello sessista è più grave ancora perché vuole eliminare la diversità e sancire il possesso. Se ci pensi, per noi e per la nostra campagna sull’identità di genere è una sconfitta su tutta la linea. Per fortuna possiamo sempre contare sull’ideologismo della sinistra e sul becerume della destra. Saluti androgini.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche