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Siate felici e imperfetti

«Andiamo dal Papa per testimoniare cos’è davvero la famiglia»: l’umana avventura di chi mette insieme figli e arrosto bruciato «finché morte non ci separi». Così Mariolina Ceriotti Migliarese sfida le coppie in crisi.

Caterina Giojelli
06/04/2012 - 15:18
Chiesa
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«Incontrare Dio andando in un monastero è una cosa abbastanza ovvia. Ma incontrare Dio andando verso Micheline, proprio quella che ha appena bruciato l’arrosto, ecco una cosa alquanto inesplicabile». Per Mariolina Ceriotti Migliarese neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta di vasta esperienza, nessuna frase come questa di Fabrice Hadjadj calza meglio per descrivere la sfida rappresentata dal matrimonio: l’avventura tutt’altro che facile di chi si prende “finché morte non ci separi” e poi si trova a mettere insieme figli, arrosto, desideri e fragilità, uno per ogni giorno e pezzetto di vita trascorso insieme. Già, il pezzetto. «Cosa abbiamo combinato!», aveva esclamato con stupore divertito suo padre festeggiando quarant’anni di matrimonio tra sette figli e relativi figli, consorti, nipoti; ma perché la vita gli svelasse la sua gioiosa trama, restituendogli moltiplicato tutto quello che le era stato messo a disposizione, era necessario un orizzonte di tempo, «o forse meglio: un orizzonte di eternità». La Ceriotti Migliarese lo afferma in capo al suo La coppia Imperfetta, editato da Ares in occasione dell’Incontro mondiale delle Famiglie: un libro dedicato alla necessaria imperfezione di chi ha il coraggio di «muoversi nella dimensione del romanzo e non in quella, oggi più comune, del racconto breve», senza «lasciare la scena prima del tempo». 

È la seconda volta che sdogana in copertina l’aggettivo imperfetto (suo, sempre per Ares, La famiglia imperfetta: quattro edizioni in pochi mesi). Perché scrivere un libro sull’“arrosto bruciato” mentre tutti si danno da fare a produrre manuali per educare, amarsi, lavorare, crescere in modo perfetto?
Il tema dell’imperfezione nasce dalla constatazione che la perfezione è un imbroglio, e sempre più spesso diventa anche un pericolo. La cifra dell’umanità è infatti il limite ma siccome l’uomo non lo sopporta finisce per adoperarsi con tutte le sue forze nel perseguimento di traguardi perfetti, nient’altro che abbagli che finiscono per portarlo fuori strada. Pensare di aver sposato la persona “migliore” è un abbaglio perché nella nostra idea di cosa è migliore è assente il limite connaturato all’umano, e quando esso emerge invece di essere capito, accolto, viene rifiutato e tutto va in crisi. Tutto, perché l’imbroglio della perfezione investe tutti i campi ed è capace di molti danni. Pensiamo a quelli che fa nell’ambito della sessualità, dove la realtà è ben diversa dal film, il limite diventa un sentimento di incapacità e l’incapacità diventa una colpa. Non è strano? La vulnerabilità delle persone dovrebbe spingerci a cercare di moltiplicare le nostre capacità di amarle e di prendercene cura. Invece prevale la paura, che ci spinge a volgere lo sguardo lontano da ciò che è fragile, a nascondere ciò che è imperfetto in noi, a evitarlo quando è presente nell’altro.

E a fare, come scrive nel libro, «modesti investimenti su piccole storie, nelle quali ciascuno starà bene attento a non consegnarsi troppo all’altro per non venire ferito». Perché è difficile muoversi nel solco di un amore che sfidi il tempo?
Perché la caduta di speranza che ha investito il piano culturale ed economico  ha coinvolto anche il piano delle relazioni, oggi consumate rapidamente come uno scambio volto alla sola, reciproca, soddisfazione. Il vero rischio, oggi, diventa allora quello di smarrire del tutto il senso della profondità delle cose, privilegiando la quantità delle esperienze a scapito della loro intensità, e questa mancanza di spessore dell’esperienza rende ogni cosa più noiosa e fragile. Non si ha più la pazienza di vedere “come va a finire”, nemmeno quando si tratta dei figli: oggi i genitori vedono “la crisi” davanti alla prima porta sbattuta di un adolescente, senza capire che l’educazione è un cammino che si gioca sui tempi lunghi, fatto anche di litigi e dolori. Ma il dolore fa paura e fa paura proprio perché non è inquadrato in un orizzonte di senso e significato. 

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Sulla scomparsa della formula “finché morte non vi separi” nel matrimonio religioso lei scrive: «Mi sembra un peccato la scomparsa di quel riferimento così esplicito alla morte, perché concordo profondamente con Georges Bataille quando afferma: “È necessario alla vita comune di tenersi all’altezza della morte”».
Il riferimento alla morte è quell’orizzonte del vivere che ci permette di mettere ogni cosa nel giusto ordine e gustare ogni momento della vita nella sua preziosità e bellezza. Che non significa affatto perfezione. Da anni ascolto e accompagno coppie che si dicono in crisi, come se questa fosse l’ultima parola sul loro rapporto. Io invece nella crisi vedo una grande opportunità di riprendere nuova consapevolezza del disegno originario e sincero del matrimonio, ripulendolo da quella vocazione alla perfezione che nell’impatto con la realtà si sgretola e lascia il posto a un’idea di matrimonio simile a quella di un contratto sociale o di un luogo di reciproca sopraffazione.

Invece, lei scrive, «si tratta di far toccare con mano che la famiglia che hanno costruito è una creatura vivente, con una propria identità». Ma a cosa fa appello per rilanciare un orizzonte così grande davanti a chi è messo profondamente in discussione dal proprio limite?
Cerco di far capire alla coppia che una relazione non ha valore soggettivo, ma oggettivo: un rapporto diventato famiglia è un valore che rimane anche quando la relazione va in crisi. Figli, beni, storie, abitudini: quando si rompe una relazione coniugale si frantuma un mondo. Che resterà frantumato per sempre. Le persone davanti alla definitività, all’idea che qualcosa non ci sarà più, rimettono in ordine la loro progettualità. E c’è chi torna a investire su ciò che dà linfa a questo mondo, e nella fatica, nello sforzo di un’impresa comune, l’affetto rinasce.

Un appello alla famiglia oggi allora: perché partecipare all’incontro mondiale con Benedetto XVI?
Il valore di questo evento, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, sta superando l’evento stesso: nelle parrocchie la comunità cristiana ha accettato la sfida di non limitarsi a incontri di carattere organizzativo, ha iniziato a misurarsi con il pensiero del Santo Padre, a dare valore a un momento che coinvolge le famiglie tra qualche settimana come occasione per la propria famiglia ora, in questo momento. Dobbiamo riunirci intorno a Benedetto XVI per testimoniare il coraggio di tornare a dare alla famiglia il suo ruolo e il suo peso, con la festa e la gioia propria di ciò in cui crediamo e che ci permette di non lasciare l’ultima parola agli aspetti disfunzionali in cui i media identificano oggi la famiglia. Andiamo dal Papa per testimoniare che la famiglia non è ciò che vogliono fare passare e non lo sarà mai. 

Perché l’imbroglio della perfezione e l’accanimento verso la famiglia oggi?
Io credo sia in corso un attacco profondo al pensiero cristiano, capace di unire e di un orizzonte fatto di eternità. Contro si propongono aggregati affettivi, sentimentali o sessuali, contratti a tempo. Il diavolo si muove a modo suo e mai in modo diretto per disgregare la culla della cristianità, il luogo dove tutto nasce e ha avuto origine.

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