Emanuele Boffi
Sulla tratta che porta a Lampugnano, le carrozze del metrò sono intasate di ragazzi. Peccato che scendano qualche fermata prima di Lampugnano. Loro, i giovani, si riversano a frotte nella stazione di Amendola Fiera e proseguono a piedi verso lo Smau, la mostra delle nuove tecnologie. Noi, in carrozza, tiriamo diritti per la Convenzione di Francesco Rutelli Le prime parole che riecheggiano nel Palavobis sono quelle di un profetico altoparlante: “Signori per cortesia, prendete posto. Qui è un gran caos”. Al mio fianco è seduto un signore grosso grosso. Sbuffa. E, mentre risuonano le note della “Canzone popolare”, inizia pure a sudare. Fra la gente si aggira un ragazzo con una maglia targata “1 Rutelli”. Come tutto il popolo ulivista anche lui si è alzato in piedi all’inno di Mameli. Rutelli e Amato salgono sul palco. Francesco canta, Giuliano no. Il portiere con la maglia di Rutelli è in clima partita, adesso si mette pure la mano sul cuore. Il signore al mio fianco invece non ce la fa a sollevare la sua mole, sta seduto e finge di cantare anche lui. Sul palco si alternano gli ospiti: il sindaco di Torino, Valentino Castellani, ricorda che nella recente alluvione “non ci sono state sbavature, a parte i morti” e “che si vince e si perde tutti assieme”. Il sindaco di Lodi, “quello della Moschea” come lui stesso si definisce, recita la parte del martire e attacca Lega e Polo per la nota vicenda che gli ha dato un’inattesa popolarità. Poi la parola passa a due donne: una ragazza del Sud, impegnata nel campo della tutela ambientale, e una signora che, ogni anno, in occasione della manifestazione della Lega a Venezia, espone alla sua finestra una bandiera italiana. Entrambe molto carine. Punto. Un video autocelebrativo del quinquennio ulivista precede l’intervento di Giuliano Amato. Il pubblico del palazzetto applaude convinto. Quando il premier termina il suo discorso, il mio vicino di sedia sente di dovermi dire qualcosa: “Il fatto che se ne vada è una gran perdita. Ci mancherà”. Poi ricomincia a sudare. Dopo la mezz’ora di frizzi, la parola passa all’incoronato Francesco Rutelli. Applausi, bandiere, Francesco ringrazia Tizio, Caio e, senza dimenticare Sempronio, si lancia in citazioni dotte e frecciate a Berlusconi, Fini e Bossi. Si presenta come “il candidato di tutti”, lancia un appello ai giovani perché scendano in politica al fianco dell’Ulivo. Peccato che i giovani siano scesi alla fermata prima e che al Palavobis di Rutelli abbiano preferito lo Smau di Albertini.
Gianluigi Da Rold
Rutelli Francesco prende la parola alle 12 e 45 di sabato 21 ottobre al Palavobis di Milano, gremito come ai bei tempi di Simmenthal-Ignis (basket della prima Repubblica), just in time per una diretta sui telegiornali della colazione nella giornata di week-end, oh yes! Ha appena finito di parlare Giuliano Amato che, nella sua consueta abilità di postcraxiano, “cosista” secondo e terzo, deve come al solito arrampicarsi sugli specchi per dimostrare che l’Ulivo e l’Italia ulivista (o postulivista?) hanno fatto bene, benissimo, ridando credibilità internazionale al Paese. Ma effettivamente il “dottor Sottile” mette un po’ di effervescenza a una assemblea che, condotta fino a quel momento da Furio Colombo, era sembrata uno spettacolo da Grande Cipresso: il sindaco di Torino che parlava della tragica alluvione, ma che sottolineava la capacità di intervento delle istituzioni; il sindaco di Lodi che si aggrovigliava con l’italiano per difendere il “diritto alla moschea” contro gli unni della Padania; una “biondona”, avvocatessa volontaria, che rievocava la tragedia di Soverato mostrando un po’ troppo se stessa e meno una commozione per quei fatti; la signora Lucia veneziana, quella che mette sempre il tricolore alla finestra quando i leghisti fanno il loro raduno; la sindachessa di Reggio Emilia dalla grinta brezneviana. Insomma, per dirla con il Renato Pozzetto, “non serpeggiava una allegria sfrenata” alla convention del Palavobis e Rutelli – o secondo una definizione dell’irriverente Beppe Grillo “Sopra il motorino niente” – guardava un po’ sgomento la moglie Barbara, attendendo tutto lisciato e placcato il suo turno. Poi riguardava la platea, con nei primi posti il “meglio” del trasformismo nazionale: Mastella con Diliberto, Dini con Parisi, la Melandri con la Pivetti. E tutto il quartier generale diessino, corrucciato e severo, neanche fosse una commissione per l’esame di maturità. Francesco Rutelli, questo strano miscuglio di mammismo italiano e pariolino romano “che si impegna”, non dice nulla ma riesce lo stesso a piacere surfeggiando tra pause, sorrisi, luoghi comuni. “Comincia la più grande rimonta elettorale della storia” (applausi); “Vado nelle zone delle alluvioni” (applausi); “Berlusconi non sa come prendere questo Rutelli” (applausi); “Grazie a Livia Turco, Rosy Bindi eccetera, eccetera… (applausi). Qual é il programma? Nessuno lo sa, nessuno lo dice.