Emila Vergani e In-Presa, “segno di una Presenza che c’è”
C’era da provare i brividi ad ascoltare l’incontro di venerdì al Meeting di Rimini su Emilia Vergani, “saggia e ardente” educatrice, come la ritrae fin dal titolo la mostra a lei dedicata, a vent’anni dalla morte, allestita nel padiglione C3 della Fiera e destinato alla Cdo e alle opere sociali. C’è da provare una strana vertigine a riascoltare le parole del marito (Giancarlo Cesana), dell’amico (Silvio Cattarina) e del discepolo (Ian Farina) su di lei e sull’opera, In-Presa, che, a due decenni di distanza, pretende di rispondere ancora oggi all’intuizione che quella donna provò di fronte a un manipolo di ragazzi, per così dire, difficili. Il primo bisogno – il loro, ma anche il nostro – è un rapporto, un legame, che introduca al senso delle cose e aiuti a stare al mondo.
Una “stufa” che scalda ancora oggi
“Obbediva solo a Dio”, ha ricordato commosso Giancarlo ripensando a quella “stufa” che “scalda ancora oggi”, per dirla con parole dell’amico e maestro don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione. Suo è anche il copyright della coppia di aggettivi che perfettamente la descrive e che, non è un caso, dà il titolo alla mostra e alla pubblicazione curata da Emiliano ronzoni e da altri amici per il ventennale, il cui ricordo è stato posticipato di un anno a motivo della pandemia.
Se quel tepore arriva ancora a noi è perché Emilia “è il segno di una Presenza che c’è”. Quello che manca, invece, in molti già allora e troppo spesso ancora oggi, è “l’affetto, l’appartenenza, l’essere legati”. Lo ha ripetuto sempre Giancarlo. Ma Emilia, che forse ne soffriva, certo non se ne curava più del dovuto. “Faceva il fuoco con la legna che aveva”, è stato ricordato. Con “decisione e discrezione”. Il suo giudizio, del resto, “non terminava mai in una definizione ma in una dedizione”.
Ragazzi “presi”
La riprova, il test, che quel legame in lei era vivo, e che in tanti che l’hanno seguita vive ancora, è che quei ragazzi “li ha presi”. Mentre il mondo, allora come oggi, “non li prende”. E sono diventati centinaia, grazie anche a ciò che l’In-Presa è divenuta, non tanto per meriti di singoli quanto piuttosto per la grazia di persone che hanno vissuto, loro stessi in primis, con verità quel rapporto.
Provando, fallendo, riprovandoci, facendo insomma qualcosa di buono insieme. Soprattutto adulti che, oggi come allora, sono trascinati dalla passione per l’altro e per il significato, frutto dell’educazione cristiana nel Movimento. Liberi dall’esito.
Invitati a una festa
Quella gente semplice, nobile d’animo e pur meschina come tutti noi lo siamo, con Emilia, lo ha detto bene Cattarina, “si sentiva come invitata a una festa” e lo viveva con “grande onore”. Grazie forse anche al suo “sguardo accogliente e coraggioso”. Uno sguardo, non certo solo suo, che vinceva e vince la paura, il timore, lasciando presentire che “quell’ardore lo potevi e lo puoi avere anche tu”. Adulto o ragazzo scapestrato.
Farina, che da quasi venticinque anni lavora all’In-Presa, e tanti altri come lui, possono testimoniarlo in prima persona. Con la loro stessa vita. Vite nelle quali vibra un grido, un dramma che, a Dio piacendo, non si spegne ma si approfondisce e si fa ogni giorno più chiaro.
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