La preghiera del mattino
Elly Schlein e la guerra interna che può devastare il Pd
Sugli Stati Generali Paolo Natale scrive: «Funziona, la nuova segretaria del Pd, quanto meno nel suo attuale ruolo di oppositore al governo Meloni. Le sue prime settimane come leader hanno sicuramente giovato al Partito democratico. Prima di tutto hanno da subito portato un vento di novità in una forza politica che, lo sappiamo, è stata vittima (in)consapevole di se stessa per quasi un decennio (con il solo intervallo di Lega-M5s) nel restare “imprigionata” all’interno di qualsiasi governo, per un soi-disant senso di responsabilità nei confronti del paese. La sola idea di un cambio di prospettiva, mettendo per ora tra parentesi l’asfittica diatriba tra sinistra e centro, di un cambio di ritmo nella gestione e nelle parole d’ordine del partito, ha avuto come immediato risultato nell’opinione pubblica una sorta di percezione di ringiovanimento e di rinnovamento: l’idea forse che si sarebbero percorsi altri sentieri (quali, ancora non è chiaro, ma tant’è…)».
Come al solito l’analisi di Natale – questa volta sullo stato del Pd dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie – è ricca di osservazioni intelligenti e di una conclusione convincente: la nuova segretaria, definendo un profilo di decisa opposizione, recupera voti sia dai 5 stelle sia dall’area dell’astensione. Si può, però, paragonare il tragitto che ha imboccato la nuova leader (leader innanzi tutto di ex comunisti ed ex dc di sinistra) a quello di Giorgia Meloni, che proprio definendo un suo netto profilo oppositivo sia contro i vari governi Conte sia contro il governo Draghi, ha assunto la guida di tutto il centrodestra? Credo che il paragone al fondo non regga: Fratelli d’Italia ha da subito lavorato per allargare la sua influenza, presentando, poi, alle elezioni candidati come Giulio Tremonti, Marcello Pera, Eugenia Roccella, Lorenzo Malagola, che hanno parlato a segmenti dell’elettorato non tradizionali per Fdi. E ha mantenuto in Regioni e Comuni una salda alleanza con Lega e Forza Italia. Ha costruito poi un sistema di relazioni internazionali che l’ha aiutata sul fronte interno. Insomma è stata all’opposizione ma senza radicalizzarsi. Anzi.
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Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Come scrive Repubblica, tutto nasce da un ordine del giorno presentato da Alleanza Verdi-Sinistra al decreto Cutro che è in conversione a Montecitorio. L’ordine del giorno, molto duro nella ricostruzione dei fatti, si conclude con la richiesta al governo di “sospendere immediatamente tutti gli accordi con la Libia”. Che Bonelli e Fratoianni lo considerino un atto che vìola i diritti umani dei migranti e dei rifugiati, addirittura una agevolazione per “pratiche di tortura e sfruttamento”, non è certo una novità. Ma questo significa anche sostenere che gli ultimi governi di centrosinistra – che hanno sempre rinnovato gli accordi – si sarebbero di fatto “macchiati” del delitto di favorire “le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura perpetrate in maniera sistematica e tali da costituire crimini contro l’umanità”. Il problema è che Elly Schlein ha dato indicazione alla sua capogruppo, Chiara Braga, di votare (e far votare) a favore dell’ordine del giorno di Avs che accusa l‘operato del vecchio Pd. Ovviamente gli ex ministri Enzo Amendola e Marianna Madia, oltre all’ex responsabile esteri Lia Quartapelle, si sono messi di traverso. Il tema è delicato, vorrebbero discuterne, trovare magari il modo di uscire dall’Aula senza formalizzare la spaccatura. Ma la Braga respinge la richiesta e i tre recalcitranti alla fine non partecipano al voto. Rendendo palese, se mai ve ne fosse stato il bisogno dopo gli adii dei giorni scorsi, quanto sia spaccato internamente il Pd».
La Schlein, ben lungi dal vincere la tentazione di radicalizzarsi, pare puntare proprio su questa scelta innanzi tutto per conquistare il potere nel Pd. Per ora lo stillicidio dei dirigenti “democratici” usciti o dissidenti non pesa in sondaggi che tastano più gli umori che le riflessioni dell’elettorato. Ma nel medio periodo l’idea schleiniana di privilegiare la guerra interna al partito per consolidare il proprio comando, rispetto a un’articolata idea di pluralismo interno, di alleanze e di un programma misurato su questi obiettivi, può avere effetti devastanti.
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Su Startmag Giuliano Cazzola scrive: «Anche la polemica politica più dura deve avere dei limiti. Altrimenti si rischia di diventare come QAnon che negli Stati Uniti accusa l’establishment democratico di essere una congrega di pedofili. Non è un bel vedere che i sindacati (la trojka è sempre più simile ad un tandem su cui pedalano Landini e Bombardieri) e il nuovo Pd si debbano inventare le cose pur di criticare il governo, come sta accadendo a proposito del decreto lavoro con il quale Giorgia Meloni ha scippato, sul versante mediatico, il Primo Maggio alle centrali confederali. Lungi da noi l’intenzione di osannare questo pacchetto di norme (peraltro in fase di “bollinatura”) come ha fatto in un video la presidente Giorgia Meloni. Siamo tuttavia convinti che, al di là dei presunti primati rivendicati dal governo, un provvedimento come quello varato il 1° maggio proviene dalla farina dello stesso sacco da cui hanno attinto i governi negli ultimi anni per affrontare le diverse emergenze che sono capitate».
Anche la speranza che sia la Cgil a cavare le castagne dal fuoco al Pd schleiniano, come spiega un osservatore peraltro critico del governo Meloni qual è Giuliano Cazzola, sembra poco fondata: Maurizio Landini come tutti i quadri cigiellini di formazione sabattiniana (cioè legati al pensiero e all’azione di Claudio Sabattini, leader molto radicale della Fiom degli Settanta e Ottanta) è abile a trattare sindacalmente ma non ha alcuna attitudine a fare politica e le posizioni allo sbando che sta prendendo in queste settimane lo dimostrano.
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Su Open Massimo Ferraro scrive: «Anche il più mite retore, sul palco del Primo Maggio, affila la lingua e pecca di arroganza. La tesi è di Matteo Renzi, nell’editoriale del secondo numero de Il Riformista sotto la sua direzione. Dopo le polemiche per le critiche rivolte dal fisico Carlo Rovelli in piazza San Giovanni contro il ministro della Difesa Guido Crosetto, il senatore di Italia viva punta il dito contro il palco, sul quale gli ospiti del Concertone cadrebbero come vittima di un incantesimo. “Nessuno immagina di spiegare a Rovelli la fisica”, scrive Renzi, “ma certo non andremo da lui a ripetizione di politica. Ed è incredibile come quel palco trasformi anche una persona mite in un Catone arrogante”. Prima stilettata. E subito dopo la seconda: “O, non è il caso di Rovelli ma di altri, in un cafone ignorante”. Qua il riferimento sembra essere a Fedez, e l’indizio è nell’attacco del suo intervento. Renzi infatti ricorda la polemica sulla “presunta censura” della Rai al rapper nel 2021, quando denunciò la richiesta dei vertici della tv pubblica e delle vicedirettrice di Rai 3 Ilaria Capitani di edulcorare il suo discorso. Poi il senatore entra nelle polemiche sull’intervento di Rovelli, chiosando: “Noi difendiamo Crosetto, uno dei migliori ministri di questo governo”».
Matteo Renzi è un fanfaniano senza Dc. Intelligente, preparato. Ma, senza il grande partito-Stato protetto dalla Chiesa che è stato lo Scudocrociato, non ha la possibilità di rendere fruttifere le sue provocazioni. Né lo scombinato montezemoliano Carlo Calenda gli darà una grande mano. Però l’intelligenza critica renziana, oggi dotata anche di una voce come quella del Riformista, può fare molto male a dilettanti della politica come Landini e la Schlein.
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