In Egitto è passato il referendum che doveva decidere su nove emendamenti della Costituzione. Il 77,2% dei votanti ha scelto il sì, il 22,18% ha espresso parere contrario. L’affluenza è stata del 41%. Dei 45 milioni di aventi diritto, si sono recati alle urne 18 milioni e 326 mila persone. Un numero comunque alto per l’Egitto, dove solitamente vota il 10% degli aventi diritto.
Solo i Fratelli Musulmani e i resti del Partito nazionale democratico, quello dell’ex dittatore Hosni Mubarak, appoggiavano l’approvazione degli emendamenti che cambiano, tra le altre cose, i requisiti per candidarsi come presidente, la durata della carica, la possibilità da parte sua di dichiarare lo Stato di emergenza.
Secondo l’opposizione, che denuncia brogli elettorali, nonostante queste modifiche il presidente resta ancora una specie di “Faraone”. In più, l’approvazione degli emendamenti porterà a rapide elezioni a settembre, che favoriranno solo i partiti più strutturati e organizzati: l’ex formazione di Mubarak e i Fratelli Musulmani.
Manar Mohsen, che controllava il corretto svolgimento delle elezioni per l’Organizzazione egiziana per i diritti umani, ha dichiarato che la propaganda islamica ha promosso come “dovere religioso” votare sì al referendum, raccontando ai votanti che esprimersi in questo senso significava mantenere l’articolo due della Costituzione che sancisce che la Sharia è la principale fonte del diritto egiziano: «Hanno anche detto loro che se volevano tenere fuori i cristiani copti dal governo, dovevano votare sì».