Riecheggiando le geremiadi di nonno Scalfaro, davanti a una platea di popolari lombardi, così il vetusto Martinazzoli, querulo, si interrogò: “Come fa un cattolico a votare Berlusconi?”. Già, e come fa un cattolico a votare gli ex-post-neo democristiani Bindi, Scalfaro, Martinazzoli? Berlusconi a parte, appurato che l’ex sindaco di Brescia non è il Papa e che il suo partito non è precisamente nemmeno la Conferenza episcopale italiana, chi è il Ppi di “Mino Crisantemo”, come lo chiama Vittorio Feltri? Non è forse lo stesso che si abbevera alla dottrina sociale della Chiesa e poi vota contro il principio di sussidiarietà, insabbia le leggi sulla parità scolastica, patrocina la più sovietica delle riforme della sanità? Il vezzo di certi democristiani è sempre stato quello di pretendere di incarnare l’anima popolare cattolica di questo generoso paese e in nome di questa pretesa chiedere e ricevere i voti dei cattolici. Dormivano sonni tranquilli, loro, quando anche nei momenti peggiori (vi ricordate chi stava in piazza, nelle scuole e nelle univeristà, durante i referendum su divorzio e aborto, o quando la democrazia fu minacciata dalla violenza extraparlamentare?), in obbedienza ai vescovi, movimenti e organizzazioni ecclesiali si gettavano ventre a terra per portare voti a un sempre più screditato e immobile scudo crociato. Facile no giocare al tutto esaurito quando c’è dietro tutto l’apparato ecclesiale, i movimenti e le associazioni cattoliche? Sfortunatamente per Martinazzoli e per i suoi – fortunatamente per gli italiani – non si torna indietro: il bel tempo delle vittorie sulle spalle del popolo è finito, così come è tramontata l’epoca in cui, anche in materia politica, preti e suore potevano ordinare e i laici obbedire. Oggi, come ci insegna il buon Rocco Buttiglione, lo scudo crociato vale ancora qualche punto alle urne. Ma tutt’altro che una promessa di avvenire luminoso, intorno al simbolo dell’antica Dc non c’è nemmeno quella maggioranza di pensionati che forma la solida ossatura di questo belpaese leader di denatalità. Fortunatmente i tempi sono cambiati, e dunque non se lo fila più nessuno questo clericalume che ha la puzza sotto il naso e crede di avere ricevuto direttamente da dio (Maritain) il dono della profezia evangelica e la corona d’alloro di rappresentanti politici dei cattolici in terra. Oggi, grazie a Dio, l’equivoco del cosiddetto “cattolicesimo democratico” non c’è più, ed è forse uno dei pochi esiti positivi della cosiddetta “rivoluzione giudiziaria” italiana. Nessuno, oggi, in politica, può più permettersi di parlare a nome dei cattolici. Tanto più i vati di quel Ppi che, oggi, se il cielo vuole, è un uno dei tanti cespugli satelliti dell’ex Pci che sta al governo, un partitino che somiglia fin troppo a quei rottami inventati in epoca di socialismo reale e utilizzati dai regimi dell’Est per darsi una patina di multipartitismo in presenza di un unico, grande partito guida. In considerazione poi della prospettiva maggioritaria e bipartisan che sta assumendo la scena politica italiana – scena che renderà vieppiù superflua la sopravvivenza in forma partito dei residuati della sinistra democristiana – anche i popolari più idealisti capiranno bene, prima o poi, che tanto vale votare D’Alema (o una qualunque Cosa emergerà a sinistra) piuttosto che starsene abbarbicati alle noiose paturnie dei loro attuali commissari. Perciò non si agiti troppo, caro Martinazzoli, tutta la sua malinconica supponenza, tutti i suoi amici in casa Fiat e tutte le sue entrature nei santuari finanziari bresciani non le basteranno né per vincere in Lombardia, né per dare vita a qualcosa di politicamente nuovo a livello nazionale. Si guardi le spalle, piuttosto, e rifletta bene sul presenzialismo a tutto campo dell’attuale sindaco di Brescia. Chissà che, al dunque delle regionali per la Lombardia, alla politica nostalgica dei crisantemi, il partito guida non preferisca un politico che studia per diventare il Guazzaloca di sinistra. Un certo Paolo Corsini. TEMPI
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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