Fra tutta la stampa estera che ha commentato il referendum italiano sulla legge 40 la palma del peggiore va al settimanale The Economist, che a proposito del suo insuccesso scrive: «Ciò sta a significare qualcosa di più del fatto che la legge non verrà modificata. Significa l’obbedienza degli italiani al Vaticano, che ha interferito direttamente nel voto, così come la loro apatia politica. (…) Anche la segretezza del voto è risultata compromessa: i parroci di campagna hanno potuto facilmente identificare coloro che sono andati a votare». Se volessimo reagire con lo stesso stile dei colleghi britannici, cioè erigendo a giudizio gli stereotipi più volgari intorno ad un gruppo etnico, scriveremmo che non ci si può aspettare particolare profondità in dibattiti attinenti la dignità di persona dell’embrione umano da parte di chi da sempre è abituato a trattare qualunque cosa come una merce, inclusa la carne umana di cui ha fatto commercio per non pochi secoli. Ma noi odiamo i cliché e perciò segnaliamo ai colleghi che negli ultimi tempi il controllo sociale dei parroci sui contadini italiani si è piuttosto allentato, mentre si è decisamente rafforzato quello dei direttori e dei proprietari dei grandi quotidiani sui loro giornalisti, che hanno dovuto fare i conti col fatto che le testate per cui lavorano erano schierate ufficialmente per il “sì” all’abrogazione.
Mentre difende il diritto dei contadini italiani a non essere intimiditi dai loro parroci, The Economist dovrebbe trovare anche il tempo per difendere la libertà di coscienza dei giornalisti italiani, compresa la libertà di astenersi in un voto referendario. Quanto poi all’«obbedienza degli italiani al Vaticano», vorremmo ricordare ai colleghi che in Italia il precetto religioso domenicale è assolto da una percentuale di cittadini che oscilla fra il 20 e il 30 per cento a seconda delle regioni, mentre l’astensione al referendum è stata del 75,5 per cento. Da quando agnostici e cristiani non praticanti “obbediscono” al Vaticano?
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