La preghiera del mattino
Dal nuovo disordine mondiale non usciremo certo con il nuovo unilateralismo Usa
Su Fanpage si scrive: «Le news di oggi in diretta sulla guerra tra Ucraina e Russia nel 33esimo giorno di conflitto. Oggi via al nuovo round di negoziati in Turchia con colloqui faccia a faccia per tre giorni. Erdogan chiama Putin: “Necessario un cessate il fuoco immediato”. Nella notte sirene di allerta aerea e bombardamenti su varie città e nelle regioni di Kiev, Kharkiv, Zhytomyr, Uman, Kherson, Lutsk e Rivne. Zelensky nella prima intervista a giornalisti russi: “Valutiamo neutralità e pronti a compromesso sul Donbass ma no a smilitarizzazione”. A Kiev oggi riprende la scuola in modalità online. A Mariupol russi hanno preso controllo delle periferie».
Aprire la via a un accordo di pace, senza tradire la resistenza ucraina, è la prima necessità di chi vuol difendere princìpi irrinunciabili e mantenere una visione realistica della situazione internazionale.
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Sulla Zuppa di Porro Toni Capuozzo scrive: «Non so, forse è presto per dirlo. Ma dopo un mese, forse si vede qualcosa che assomiglia all’inizio della fine. Succede quando tutti sono giunti al loro limite: gli ucraini hanno tenuto Kiev, cosa possono fare di più? La Russia ha preso la costa, cosa vuole di più? Gli Stati Uniti hanno schierato sull’attenti i paesi della Nato, e si portano a casa un favoloso contratto di vendita del gas: cosa possono pretendere di meglio? Sì, mancano i dettagli, dalla caduta di Mariupol ad altri conti minori da regolare, ma l’Ucraina che si disegna sulle carte geografiche assomiglia a una nuova Cipro».
È un conforto seguire le analisi di Capuozzo, cronista di guerra lucido e appassionato, con una testa non riscaldata da uno di quegli elmetti alla Gianni Riotta indossati da tanti dei nostri giornalisti e opinionisti.
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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «L’aggressione russa di oggi all’Ucraina è la risposta sbagliata a un sistema di relazioni di potenza Usa e Ue multilaterale solo a parole, ma di fatto proteso verso un nuovo unilateralismo nordamericano a cui l’Ue segue, senza idee e senza unità se non in uno stato di crisi catastrofico come per la pandemia e oggi per la guerra di aggressione ai suoi confini, in Ucraina. Siamo dinanzi a un nuovo bagno di sangue dopo quello delle guerre balcaniche. La storia non insegna mai nulla (e neppure la storiografia, se non la si legge). Che gli Usa pensino di centralizzare in forma asimmetrica le relazioni internazionali ed economiche, e che pensino di fare questo continuando a umiliare la Francia, dopo lo schiaffo indo-pacifico, e altresì la Germania e tutta l’Europa, dopo la chiusura obbligata del Nord Stream 2, con l’imposizione di comprare il gas liquefatto Usa (che farà lievitare quanto mai il prezzo di tutti i combustibili fossili per le difficoltà tecniche che esso comporterà e per l’arroganza con cui questa decisione è stata imposta), ebbene: è tutto veramente disarmante».
L’aggressione russa all’Ucraina non è in alcun modo giustificabile e dunque armare Kiev perché resista, e sanzionare Mosca, è sacrosanto. Detto questo, parte rilevante della situazione, al di là della brutale irrazionalità di Vladimir Putin, deriva da unilateralismo americano che sta seminando disordine nel mondo.
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Su Dagospia si riporta un articolo di Paolo Valentino per il Corriere della Sera nel quale si scrive: «Dov’è Angela Merkel? Cosa fa? E soprattutto, cosa pensa della crisi in Ucraina? Un fantasma si aggira per la Germania. Mentre il governo federale, sull’onda della guerra di aggressione di Vladimir Putin, getta alle ortiche 70 anni di cautele, riluttanze e comode ambiguità in politica estera, un dubbio improvvisamente attanaglia il paese. E se non fosse stato tutto oro quello che luccicava nei sedici anni dell’eterna cancelliera?».
La politica bottegaia di Angela Merkel, piena di retorica in pubblico e di accordi senza strategia con la Russia, ha messo l’Unione Europea in una drammatica situazione.
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Su Huffington Post Italia Claudio Paudice scrive: «Per gli Stati Uniti si tratta certamente di un grande affare, per l’Europa di un piccolo aiuto che lascia tuttavia irrisolto il suo problema più grande, la dipendenza dal gas russo. Il presidente americano Joe Biden e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen hanno annunciato un accordo per forniture aggiuntive di gas naturale liquefatto (Gnl) da 15 miliardi di metri cubi entro l’anno, con l’obiettivo di arrivare a 50 miliardi di metri cubi in più entro il 2030».
La politica americana, peraltro ben consapevole dei propri interessi commerciali, che ha sostituito in piena crisi ucraina quella merkelliana, non è in grado (al momento) di definire una concreta proposta politica di sicurezza per il Vecchio Continente, ciò provoca disordine e, se questo problema non viene affrontato concretamente, finirà per incrementare la pazzia/disperazione di Vladimir Putin.
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Su Dagospia si riporta un lancio di Askanews nel quale si scrive: «Gli Stati Uniti non ambiscono a un cambio di regime in Russia, ha detto oggi il segretario di Stato Antony Blinken dopo che il presidente Joe Biden ha spiegato ieri che il leader del Cremlino Vladimir Putin “non può rimanere al potere”».
Non mancano nel passato episodi di dichiarazioni avventate di questo o quel presidente americano, ma gli sbandamenti di Biden spesso sono impressionanti, così come la difficoltà dell’“amministrazione imperiale” nell’amministrare l’imperatore.
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Su Startmag Gianmarco Volpe, giornalista e analista di politica internazionale che ha diretto il desk Medio Oriente e Nord Africa del Centro studi internazionali e svolto attività di consulenza per la Nato e la Marina militare, scrive: «La strategia adottata fin qui da Biden e dai suoi alleati la conosciamo. Sanzioni alla Russia, armi all’Ucraina, nessun coinvolgimento diretto nel conflitto. La situazione, tuttavia, è in continua evoluzione e la guerra si articola su vari piani, uno dei quali è quello verbale. Dire che Putin è un criminale di guerra significa manifestare l’intenzione di portarlo davanti alla Corte penale internazionale de L’Aja al termine del conflitto, non un modo per convincere il presidente russo a scegliere la pur angusta via di un negoziato. È quel che sabato scorso cercavo di spiegare ad Alan Friedman a L’aria che tira: se si vuol essere responsabili, bisogna smetterla di rincorrere Putin sul piano della retorica e offrirgli, anche turandosi il naso, una via d’uscita che gli consenta di vendere in patria una mezza vittoria. Anche se non è affatto detto che il presidente russo decida d’imboccarla».
Confondere il realismo con l’appeasement è la via per rendere sempre più disordinata e quindi pericolosa la vita del pianeta. Naturalmente è condivisibile la preoccupazione di non mettere sullo stesso piano aggressore e aggredito, ma le crisi internazionali non si risolvono (per di più quando non si possono fare le guerre, visti i rischi di conflitto nucleare) solo con i sentimenti.
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Su Startmag Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes, dice: «Una svolta appare impossibile: che la Russia evolva in tempi più o meno brevi in uno Stato democratico di tipo occidentale. “La lezione degli anni ’80 e ’90 ha condizionato fortemente il discorso politico russo. La democrazia e la democratizzazione in Russia sono scambiate con la dissoluzione dello Stato e la frammentazione della nazione, e forse con qualche ragione perché la Russia è un impero multinazionale e nel momento in cui si democratizzasse verosimilmente si disintegrerebbe. Se dovesse esserci una decapitazione non si andrebbe verso la democrazia ma verso un’altra declinazione dell’autoritarismo con un’altra persona ad esprimerlo”».
Si può non condividere questa analisi di Dottori, però le vanno contrapposti argomenti, non appelli ai sentimenti.
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Su Formiche Francesco Scisci scrive: «Tale spaccatura condizionerà il mondo per decenni perché dopo la guerra in Ucraina si apre la questione russa, cosa succederà a Mosca? Putin si chiuderà in un fortino ideologico, cambierà direzione di marcia o cadrà? Quindi si staglia la questione più complicata di tutte, la Cina che è in una posizione difficile. Dopo avere creduto all’inizio a una facile vittoria russa in Ucraina si è invece trovata a fare i conti con una sua sconfitta. Che farà essa e che faranno i paesi che sono già in guerra fredda con Pechino? Il governo attuale non era tarato per gestire tali dossier. Doveva varare il Pnrr e affrontare l’epidemia. Oggi l’epidemia è stata ben gestita ma i prestiti dall’Europa non sono più questione sensibile, semplicemente perché stiamo andando in una economia di guerra con regole contabili diverse. Quindi non è una crisi delle simpatie dei partiti di maggioranza, è un cambiamento radicale dello scopo del governo. Questo è il punto. Non è un problema di persona, anzi. Mario Draghi è un eccellente premier e certo merita di continuare nel suo lavoro, ma quello che deve fare oggi è diverso dal suo mandato di ieri».
Scisci descrive bene la corrispondenza tra il disordine globale e quello che regna in Italia, dove una politica commissariata dall’alto dal 2011 è arrivata al capolinea: riconoscere le questioni per quelle che sono è l’unico modo per affrontarle. Mario Draghi svolge ancora e spesso un lavoro benemerito, ma una nazione senza una guida politica legittimata dalla sovranità popolare finisce per accrescere il famoso “caos” globale e nazionale.
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Su Formiche Teresa Coratella scrive: «La Polonia di oggi offre un’immagine ribaltata rispetto a 30 giorni fa e costituisce oggi per gli Stati Uniti un partner necessario. Come riconosciuto da Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza degli Stati Uniti, la Polonia sta svolgendo un grande lavoro umanitario; militare, ospitando sul proprio territorio il più grande contingente di soldati americani in Europa orientale, circa 1.900 unità; e securitario, rappresentando il confine Ue e Nato con la Bielorussia. L’attuale attivismo politico e il sostegno umanitario polacco sembrano aver momentaneamente spinto l’Unione Europea, impegnata politicamente ed economicamente su fronte reattivo all’invasione russa, ad alleggerire la propria attenzione dai temi e criticità che hanno caratterizzato il difficile rapporto con Varsavia degli ultimi anni. La visita del presidente Biden, accanto al primario obiettivo di ascoltare le preoccupazioni politiche di Varsavia come anche di assicurare l’alleato e prevenire decisioni e dichiarazioni che potrebbero indebolire l’azione multilaterale, dovrebbe avere il potenziale di mantenere viva la discussione sul ruolo che Varsavia intende svolgere a livello comunitario e regionale, soprattutto su dossier al momento congelati come quello della crisi ed emergenza migratoria con la Bielorussia e sviluppi su stato di diritto e difesa dei princìpi democratici».
La Polonia, simbolo dell’avanzata dell’autocrazia in Europa, adesso diventa la nazione guida contro l’aggressione russa. L’ex bandito Nicolas Maduro è stato, per qualche giorno almeno, il possibile salvatore dell’Occidente dal gas moscovita. L’infida Cina è tornata a essere l’alleato prezioso per isolare Mosca, spingendo però Pechino più che ad accodarsi a chi vuole destabilizzare la Russia, a cercare una prima inimmaginabile sponda in Nuova Delhi per cercare di dare al mondo un orientamento meno pazzotico di quello prevalente. Israeliani e sauditi vengono invocati per isolare i russi e intanto ci si prepara a cedere a Teheran sul nucleare, scatenando l’ira di Gerusalemme e Riad. I turchi, provvidenziali mediatori tra russi e ucraini, si propongono anche subito come sostenitori di un Azerbaigian pronto ad aggredire gli armeni. Si esagera proprio quando si parla di un disordine planetario provocato innanzi tutto dall’unilateralismo americano?
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