Come accadde che aziende nate un anno fa (con molti debiti e senza ancora una lira di profitto) hanno preso il posto (in cima alle classifiche delle società più quotate in Borsa a Londra) di multinazionali da decenni sul mercato e dai ricchi dividendi. Filosofia (e prassi) della nuova economia per cui un’idea vale più di un conto in banca e l’immagine più di un’analisi dei conti economici di un’azienda. Alla City l’hanno ribattezzata “Dianomica”, in onore della principessina che offuscò il mito della Famiglia reale di Richard Newbury, da Londra “Ogni individuo necessariamente si affatica per rendere la rendita annuale della società più grande che può. In genere né intende promuovere l’interesse pubblico né sa quanto lo stia promuovendo. Il suo solo scopo è il suo guadagno e in questo è, come in molti altri casi, guidato da una mano invisibile a promuovere un fine che non era parte della sua intenzione”. Sul finire dell’inverno del 2000 abbiamo assistito all’opera della “mano invisibile” che Adamo Smith descriveva nel 1776, ne “La ricchezza delle nazioni”, nel modo in cui gli investitori nella Borsa di Londra hanno drammaticamente spostato i loro portafoglio azionario dalla “vecchia” economia a quella “nuova”, cambiando cosí la composizione dei “FTSE 100”, la lista del Financial Times delle 100 più importanti imprese capitalizzate nel Stock Exchange di Londra, le prestigiose ditte ”blue chip”.
Capitalismo proletario Dal listino sono fuoriusciti giganti delle compagnie alimentari e alcoliche – come Allied Domecq, Associated Britsh Foods, Whitbread e Scottish Newcastle (quest’ultima con 60.000 dipendenti) – insieme a imprese di servizi pubblici come PowerGen (centrali elettriche) e Thames Water (Acquedotto londinese), Imperial Tobacco, Wolseley (Ingegneria) e la NatWest Bank. Al posto delle vecchie multinazionali entrano in vetta alle quotazioni boristiche imprese neonate come Freeserve, Provider Internet (che vale 7,1 miliardi di sterline), Baltimore Technologies (anch’essa fondata l’anno scorso) che offre e-commercio Celltech, Kingston, Thus e Cable & Wireless (aziende telecom), Psion (palmtop e software) Emap software, imprese biotech Capita e Amersham. Non solo alcune di queste compagnie non esistevano fino all’anno scorso, ma molte di esse non hanno ancora realizzato alcun profitto.
Gli investitori però stanno dimostrando cieca fiducia nella “mano invisibile” e non sembranno affatto preoccupati del costo di un’operazione dal bilancio apparentemente negativo – le 9 compagnie fuoriuscite hanno infatti profitti di 2,7 miliardi di sterline e dividendi di 1,2 miliardi tra gli azionisti, quelle che entrano “solo” 300 milioni di sterline di profitti e 90 milioni di dividendi – anche perché il valore di mercato delle imprese con 300 milioni di sterline di profitto è di 38 miliardi di sterline contro i 21 miliardi di quelle buttate fuori con profitti di 2,7 miliardi. Per dirla con un analista di mercato “Le borse guardano avanti” e attribuiscono più valore ai guadagni futuri della nuova economia che ai valori già realizzati della vecchia economia. Ovviamente il mercato può aver torto o il mercato può aver ragione.
In uno scenario simile a quello della bolla (speculativa) dei Mari del Sud del1720 le neonate ditte di e-commercio che fluttuano in borsa attirano un vasto capitale: così che il Freeserve ora vale 7,1 miliardi di sterline laddove la Dixon, sua proprietaria all’80% con 200 supermercati di computer, ne vale solo 700 milioni. In questo ultimo mese, il valore delle azioni della “Lastminute.com” (o come la chiamano qui in Gran Bretagna, April’s Fool Day, perché è stata fondata il 1 aprile 1998) che ha1 milione di clienti per prenotazioni all’ultimo minuto per vacanze, voli, ecc, è balzato da 733 milioni di sterline a 7,5 miliardi. E si tratta di un’impresa che impiega 200 addetti, che ha attualmente12 miliardi di sterline di debito, che – se ancora esisterà – progetta di realizzare profitti solo nel 2004 e i cui fondatori si sono pagati 55.000 e 45.000 sterline lorde l’anno scorso, mentre oggi valgono rispettivamente 77 e 50 milioni di sterline.
“Dianomics”. Una metafora per la nuova epoca Di tutte le nuove aziende di e-commercio nove su dieci falliranno, seguiranno cioé il destino della maggior parte delle ferrovie sorte negli anni ’40 dell’800. Quelle però che sopravviveranno saranno le nuove “Big Mac” e come nel 1849 si potrà dire di esse che “C’è oro in quelle colline”. Per interpretare questa “nuova economia” da Alice nel Paese delle meraviglie Charles Leadbetter ha coniato il concetto metaforico di “Dianomics”, Dianomica. Nella vecchia economia industriale la gente faceva soldi costruendo cose che potevano essere quantificate. Oggi, le comunicazioni, il software, la pubblicità e i servizi finanziari della nuova economia non possono essere pesati e le risorse sono effimere quanto la produzione: escono dalle nostre teste, non dal terreno, e sono idee, conoscenza, abilità, talento, creatività. Più ricca e più potente è la persona, più è facile che faccia soldi manipolando cose effimere e intangibili piuttosto che con un lavoro riconoscibile in qualsiasi senso. Di qui l’idea di ribattezzare “Dianomics” questa nuova era della produzione immateriale, rappresentata come contrasto tra vecchia e nuova economia dall’immagine della Famiglia reale britannica da una parte e da quella della defunta principessa Diana dall’altra. La Famiglia reale non ha produzione ma simbologia e pettegolezzo. Non è famosa per la sua ricchezza ma per il “marchio”. Il suo potere e la sua influenza vengono interamente dall’effimero mondo di gesti e simboli. Le sue risorse sono intangibili: lealtà, popolarità, affetto. Però mentre la Famiglia reale è rimasta radicata nel passato, imprigionata dalle risorse che una volta erano la sua forza, Diana ha sfruttato le leggi della nuova economia: quelli con l’immagine e le idee migliori sono più agili e più
veloci ad adattarsi e più abili nel comunicare direttamente con la gente di quelli che sono intrappolati da tradizione, protocollo e risorse materiali come i palazzi. “La Famiglia reale era intrappolata dal suo passato come un pigro titolare compiaciuto in un’industria che ha a lungo dominato: la lucrativa “franchise” [contratto di esclusiva] della monarchia per l’UK. Diana era uno sfidante parvenu, un impresario che aveva usato la nuova tecnologia per vincere con abili manovre il titolare da tempo stabilito ma stanco. Al posto di Famiglia reale si legga IBM; per Diana Microsoft; per Famiglia reale le banche Barclays e Nat West; per Diana si legga First Direct e le banche telefoniche e elettroniche che gli hanno rubato l’attività. La celebrità di Diana era un prodotto dell’elettronica moderna. Un’era di media globali ha bisogno di pettegolezzo globale e le persone celebri come marchio globale sono sorte in tandem con la tecnologia. Le immagini viaggiano meglio delle parole e Diana era in gran parte una stella muta in un’era cacofonica. Era stata fatta per esser vista e non udita. Era una creatura della rivoluzione delle comunicazioni moderne mentre la famiglia reale, come molte altre delle nostre istituzioni ha le sue radici nell’Ottocento industriale.
Il futuro sarà guerra. Di immagini I marchi internazionali hanno bisogno di “celebrità intime”, che rendono il prodotto distinto ma più vicino a chi compra in un mercato globale. Ecco perchè si è verificata una durissima battaglia sulla sua immagine e sui diritti a utilizzare il suo nome dopo la morte di Diana. La fama è la base delle più importanti industrie di intrattenimento, musica e sport che decidono i destini dell’attuale nuova economia. Basti pensare che in Gran Bretagna l’industria dei media è oggi più importante di quella dei motori e la Gran Bretagna fa più profitti nell’esportazione di musica che vendendo acciaio. Allo stesso modo Diana salpò dalla vecchia Gran Bretagna dell’aristocrazia terriera per approdare a una nuova Gran Bretagna dove la ricchezza viene da media, moda, immagine e marchio. Diana era un prodotto di questa economia della celebrità il cui contrassegno è “l’essere diretti”. Diana aggirò i canali tradizionali attraverso i media e divenne un marchio globale. La Famiglia reale rimase al palo di quello che aveva creduto essere un sicuro mercato locale.È tutto un problema di immagine, come hanno scoperto le banche britanniche quando furono sfidate dalle banche telefoniche e internet. Gli edifici non sono risorse ma passivi e sono più lontani dai clienti degli schermi e dei telefoni portatili. Prima la competizione si poteva vedere fisicamente. Ora può fare improvvisamente capolino sul mercato qualsiasi cosa, sia essa una nuova catena di distribuzione o una nuova compagnia di volo. Il denaro è ormai un flusso di informazioni, non più soltanto oggetti fisici come assegni, monete, banconote e moduli. Allo stesso modo Diana era “Regalità in diretta” che aveva mutato la sua mancanza di risorse – possedeva modeste proprietà personali, nessun palazzo e nessun titolo di Sua Altezza Reale – in forza.
Un’economia stabile fondata sull’instabile? Tuttavia, poiché nella nuova economia esso è determinato dall’immagine, dalle percezioni, dalla moda, il valore di ogni cosa è molto volatile. Prova ne è – restando nella nostra metafora – l’esagerato cordoglio per Diana a cui ha fatto seguito un altrettanto impressionante, rapido oblio.