
Memoria popolare
Del Noce e l’innegabile «continuità» tra il fascismo di ieri e l’antifascismo di oggi

Terza e ultima parte della rassegna dell’intervento pronunciato da Augusto Del Noce a Rimini nel corso II Convegno nazionale per insegnanti e operatori della scuola promosso da Comunione e Liberazione nell’agosto 1976. Tutte le uscite della serie sono reperibili in questa pagina.
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Nella terza e ultima parte del suo intervento al II Convegno nazionale per insegnanti e operatori della scuola promosso da Comunione e Liberazione, Augusto Del Noce affronta da par suo la questione della contrapposizione fra fascismo e antifascismo, che giudica viziata da una visione «mitologica» del fascismo e da un uso politico dell’antifascismo destinato a fare il gioco dell’egemonia borghese e capitalista.
A sostegno di questa tesi cita i lavori di Tito Perlini, intellettuale marxista critico del gramscismo e dell’antifascismo contemporaneo.
«La sostituzione dell’immanentismo al materialismo coincide con la determinazione dei termini della lotta in quelli di “modernità” e “arretratezza”. Ma allora ecco che bisognerà distinguere tra una borghesia “progressiva”, connotata dal laicismo radicale, e una borghesia “retriva”, a cui sarà da addebitare il “fascismo”. E qui raggiungiamo il grado ultimo dell’involuzione illuministico-radicale del gramscismo. Giustamente scrive il Perlini, dal punto di vista rivoluzionario, che “oggi l’antifascismo è la peggiore mistificazione che ci si possa trovare di fronte, quella che è necessario maggiormente smascherare svelando gli inganni micidiali che essa contiene in sé. Attualmente l’antifascismo […] ha un ruolo in effetti reazionario, molto simile a quello che ebbe un tempo il fascismo. Il ricatto costituito dal pericolo di una ricaduta in quest’ultimo (motivo mitologico interessante, coltivato ad arte e sfruttato sapientemente ai propri fini dal potere capitalistico, per il quale una socialdemocrazia a sfondo tecnocratico ha oggi la stessa funzione che fu del fascismo…) è una mera facciata di cartapesta dietro cui si nasconde il potere del capitale che tende a farsi totalitario” (Tito Perlini, Gramsci e il gramscismo, Celuc, 1974, p. 63 e passim); per cui l’elevazione del fascismo a categoria metastorica ed eterna, in cui sia da ravvisare la personificazione stessa del male e l’unico avversario da combattere, maschera in realtà la subordinazione del partito comunista al neocapitalismo (pp. 150, 160, op. cit)».
La formuletta magica dell’“industria culturale” gramsciana
«Come si vede, l’antifascismo sarebbe oggi diventato il simbolo della riduzione del comunismo a strumento nel passaggio dalla vecchia alla nuova borghesia, dal vecchio al nuovo capitalismo, alla compiutezza della razionalità capitalistica, eccetera. Siccome preferiamo esprimerci in termini etico-politici, diciamo che il mito antifascista è diventato oggi il simbolo dell’involuzione del pensiero rivoluzionario nel laicismo radicale». Per Del Noce si dà un’analogia di funzione fra il fascismo di ieri e l’antifascismo di oggi, che si evidenzia per esempio nella prospettiva, evidente negli anni Settanta in Italia, di «un processo verso il partito unico per semplice autodissolvimento di tutte le altre tradizioni politiche e assorbimento della loro eredità nel Pci».
«Il nemico, dunque, di questo blocco, sarà il “fascista”, ma poi del “fascista” non si saprà dare altra definizione oltre quella di chi “guarda al passato”. Da ciò l’estensione presente dei termini “progressivo” (antifascista) e “reazionario” (fascista), tali che essi inglobano quelli di vero e di falso, di buono e di cattivo. Decisamente le formulette dell’“industria culturale” si riducono al minimo. […] Pure è da osservare come questa identificazione del male e del fascismo sia essenziale a quel radicalcomunismo a cui il pensiero di Gramsci ha dato luogo; così da non poterne essere rimossa, per mitologico che sia il suo carattere».
Mussolini, un rivoluzionario socialista «adeguato all’Occidente»
Il fascismo come male in sé è un errore di sintassi proprio dal punto di vista marxista e materialista: ogni sistema politico è sovrastruttura di un sistema economico, non può esistere un pericolo politico che non sia il riflesso dei rapporti di produzione nell’economia capitalista dominante. Da qui il carattere “mitologico” del fascismo oggetto dell’antifascismo contemporaneo. Mentre nella realtà storica il fascismo rientra nello stesso processo rivoluzionario al quale appartengono le altre ideologie moderne.
«La storiografia autentica, quella che intende operare il passaggio dalla polemica alla storia, sta oggi demolendo il mito antifascista, fondato sull’identificazione tra fascismo e reazione, per il riconoscimento che il fascismo nacque dal socialismo rivoluzionario e continuò a essere permeato di intenzione rivoluzionaria. […] Il fascismo si presentò come rivoluzione ulteriore alla marxleninista, adeguata all’Occidente, con pretese universalistiche, che il comunismo, diventato ormai fenomeno russo, non avrebbe più potuto vantare. Dal suo fallimento possiamo dedurre che fu una rivoluzione fallita, e niente di più; non che un’intenzione rivoluzionaria non ci fosse. Come negare che abbia tratto le sue origini dal socialismo e dall’interventismo rivoluzionari, che abbia avuto stretti collegamenti con i movimenti culturali d’avanguardia; come negare addirittura, se ci riferiamo al 1914, la stretta affinità tra le critiche di Mussolini e di Gramsci al socialismo riformista? Come negargli i caratteri del giovanilismo, del movimento di massa, della tensione verso il nuovo, della ricerca del consenso? E neppure si può negare, per riguardo a quel carattere sincretistico che ora il Pci sta assumendo, che sia stata mira costante di Mussolini il recupero del partito socialista, e la funzione di rappresentanza di quel che era vivo nel socialriformismo».
Secondo Del Noce tutte queste considerazioni avvalorano la sua personale tesi di fondo:
«Se sommiamo questi giudizi, vediamo come il fascismo debba venir considerato come un momento, ormai sorpassato e dissolto, di quella rivoluzione ulteriore al marxleninismo, che è il correlato politico della riforma italiana dell’hegelismo, nell’aspetto in cui si formula come filosofia della prassi. […] Certamente, ben mi guardo dal negare il momento di opposizione assoluta che intercorre tra fascismo e antifascismo. Penso tuttavia che, a distanza, la considerazione degli storici si appunterà sulla continuità assai più che sull’opposizione».
La vittoria del nichilismo
Per Del Noce è chiaro che la pedagogia della secolarizzazione auspicata da Gramsci è sfociata in un nichilismo di cui i marxisti gramsciani sono complici.
«L’eclisse della religione è parzialmente avvenuta; ma l’umanità nuova a cui ci troviamo dinanzi per la prima volta nella storia del mondo vive senza ideali, come se verificasse la diagnosi profetica di Nietzsche sul nichilismo, assenza del fine come stato normale. […] Da un punto di vista marxista, questa situazione potrebbe anche essere vista come lo stadio ultimo della dissoluzione borghese. Ma il pensiero rivoluzionario-ateo riesce ad averne ragione? Lasciamo da parte la figura di Gramsci a cui va tutto il nostro rispetto, come a un idealista senza pari. Resta che il gramscismo si è inserito in questo processo verso il nichilismo, restando quanto meno soverchiato. La sua azione si è manifestata non come rivoluzione, né come verità, ma soltanto come secolarizzazione. Lo si è visto; il secolarismo si è dissociato da rivoluzione e da verità».
(3. fine)
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