Da Iene a conigli

Di Caterina Giojelli
10 Novembre 2022
La surreale omelia sul "tragico destino" dell'ultima preda e il gioco facile del format: non serve indagare le cause di una tragedia, basta linciare veri o presunti colpevoli. A chi importa di pervertiti e corrotti?
Un frame del servizio “Una tragedia nella tragedia” mandato in onda dalle Iene l'8 novembre
Un frame del servizio “Una tragedia nella tragedia” mandato in onda dalle Iene l'8 novembre

Le Iene banchettano ancora, la loro ultima ignobile preda, data in pasto a telecamere e pubblico, si suicida e loro arrangiano l’ennesima omelia:

«Una tragedia nella tragedia che non solo non ci lascia indifferenti, ma che ha colpito tutti noi. Perché a prescindere dalla lettura che ognuno può fare di questa storia si sta parlando della vita di un uomo che a causa di quel meccanismo perverso tipico del catfishing si era legata a quella di un altro uomo e ne ha seguito lo stesso tragico destino».

Lo stesso tragico destino? Del servizio delle Iene vi abbiamo parlato qui: non è un servizio sul catfishing – il raggiro di utenti di social network attraverso account con false identità -, non è nemmeno un servizio sulle vittime del catfishing, ovvero sulle ragioni che portano qualcuno ad abboccare all’amo di uno spregiudicato burattinaio. È un servizio girato per vendicare la morte di un ragazzo di soli 24 anni, punto.

Le Iene vendicano la morte di Daniele

Un ragazzo Daniele, che si era impiccato dopo aver scoperto che la donna di cui si era innamorato non esisteva, la cui morte non aveva trovato spazio sui giornali. Il burattinaio, Roberto, un 64enne di Forlimpopoli che viveva con l’anziana madre, era stato giudicato da un tribunale colpevole di sostituzione di persona, non di morte in conseguenza di altro reato, pertanto se l’era cavata con una ammenda. Chiamate dai genitori, comprensibilmente straziati dal dolore e dall’archiviazione di accuse più pesanti, le Iene hanno riparato il torto: vi abbiamo raccontato come.

Inseguito, braccato fino alla porta di casa e incalzato spietatamente dalla iena Matteo Viviani («ci dice se è andato dai genitori di Daniele? Anche solo per chiedere scusa o beccarsi uno schiaffo dalla mamma? Queste persone hanno trovato il proprio figlio attaccato a una corda. Perché insistere così? Ma lei si sente a posto?») alla luce del giorno, in un comune di 13 mila abitanti, completamente riconoscibile grazie a un a dir poco approssimativo oscuramento del viso, Roberto, uomo grosso, pelato, tatuato, che spingeva l’anziana madre in carrozzina in preda all’ira, urlando come un pazzo, è stato riconosciuto da tutti. È stato chiamato orco, porco, suino, gli è stato augurato di arrostire all’inferno, e così ha fatto: la madre lo ha trovato morto, ripieno di farmaci, fine di Roberto.

La preda si suicida? «Tragico destino»

Ha avuto quel che si meritava, non si è pentito, era un pericolo pubblico, è la reazione della curva delle Iene a dimostrazione del buon funzionamento di un metodo che grazie al programma di intrattenimento (le Iene non sono una testata giornalistica) ha fatto scuola: gogna, vergogna, giustizialismo, affrontare i problemi, le tragedie, solo in termini di capro espiatorio o colpevole. Impossibile in una tale sciagura cercare di cogliere le ragioni profonde di ciò che ha portato in primis un ragazzo a innamorarsi di una donna mai vista, fino a compiere un gesto così estremo, e un uomo ad assumerne l’identità: capire la storia di Daniele al di là dei messaggi zozzi che gli mandava Roberto alias Irene sarebbe come dare uno schiaffo al morto, il ragazzo impiccato; criticare il linciaggio di Roberto vale un’accusa di complicità o di tradimento della sua vittima.

Non c’è posto nemmeno per una riflessione su ciò che denotava il comportamento dell’orco, smarrimento, confusione, ira, perfino disumanità, nemmeno per discutere i metodi che lo avrebbero portato senza via di scampo alla gogna eterna a Forlimpopoli, solo la facile conclusione: ha avuto ciò che meritava, lo stesso tragico destino della sua vittima.

Il vizietto della giustizia sommaria

«Non c’è giornale che non ne abbia parlato, per non parlare dei social, delle radio e delle tv», gongolano le Iene, a cui frega niente dell’apertura di un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio e ancor meno della ricerca della verità e giustizia che il loro tribunale, quello del pubblico pagante, identifica nel forcaiolismo fine a se stesso: frega molto, moltissimo della spettacolarizzazione e fomentare la giustizia sommaria. Gioco facile, non serve indagare, basta schierarsi: chi mai si risentirebbe per la perdita di quello che i loro supporter sui social hanno chiamato «un pervertito in meno»?

Ma è più accettabile il metodo, sostituirsi a giurie, giudici fino al giudizio finale, se si parla di un pervertito? Vi abbiamo già raccontato casi simili, spiegano le Iene, «fortunatamente non hanno avuto lo steso epilogo. Ricorderete tutti la storia del pallavolista Roberto Cazzaniga che per anni ha creduto di chattare con la top model Alessandra Ambrosio…». Ricordiamo anche lo stillicidio mediatico di Fausto Brizzi, sulla cui mostrificazione e costruzione del “Weinstein italiano” le Iene hanno campato una stagione, trattandolo come presunto colpevole perfino dopo il proscioglimento, «Se davvero ritiene di aver agito nella totale trasparenza e onestà Brizzi denunci le Iene, pretenda di essere risarcito da noi».

Stamina, Brizzi, fino al prossimo mostro, «Siamo un varietà anomalo»

Ricordiamo le storia di Gioele, Celeste, Sofia, le Iene in piazza per sponsorizzare, sostenere e difendere la cosiddetta cura Stamina di Davide Vannoni (venti servizi dedicati), la pretesa di insegnare le staminali agli scienziati e a un premio Nobel al grido «perché non volete curare i bambini?», e la faccia tosta, arrivati all’apertura delle maxinchieste, di giustificarsi così: «Cercavamo di capire, di spiegare. Siamo un varietà, certo, ma un varietà anomalo», «Noi non abbiamo mai detto che la cura funziona». Ci ricordiamo gli innumerevoli servizi dediti al linciaggio preventivo di corrotti ed esposizione dell’orco quotidiano (talvolta colpevole, talvolta no). E il Corriere della sera si è ricordato di un prete di Caravaggio che si è gettato sotto un treno dopo essere stato incastrato dalle Iene come adescatore di bambini e riconosciuto dalla gente del paese.

«Siamo entrati in contatto con loro per sapere come stavano»: dopo la predica sul tragico destino della loro preda, le Iene voltano pagina come conigli, come nel dopo Brizzi e dopo Stamina, pubblicando gli audio di altri ragazzi raggirati da Roberto sotto mentite spoglie, «stiamo vivendo un vuoto normativo? Abbiamo lo strumento per proteggerci? Sicuramente continueremo a occuparci di catfishing perché imparare a riconoscere il problema è il primo passo per evitarlo». Imparare a riconoscere il problema: parola di chi non esita a semplificare e sintetizzare il problema in una sola, unica persona, su cui infierire finché attenzione mediatica (o morte) non ci separi dall’affrontarlo.

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