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Il crollo delle adozioni internazionali. I numeri che nessuno dice

Si complica l’iter e diminuiscono i casi che si concludono positivamente. La commissione è «paralizzata». La denuncia dell’associazione Ai.Bi

Chiara Rizzo
31/10/2015 - 3:30
Interni
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famiglia-bambini-shutterstock_96137972

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Un crollo. Secondo diversi enti accreditati, le adozioni internazionali negli ultimi anni sono in caduta vertiginosa. Incrociando i dati forniti dal ministero della Giustizia e dai vari tribunali dei minori italiani, si scopre che si è passati dalle 8.274 domande presentate nel 2004 alle 4 mila giunte nel 2014. Più nel dettaglio, a Milano si è passati da 604 domande del 2013 a 566, a Venezia da 362 a 291, a Firenze da 331 a 264 del 2014, a Genova da 143 a 136 e a Torino (che raccoglie anche quelle della Valle d’Aosta) da 401 a 310. Ci sono stati però anche tribunali in cui le richieste di adozione non sono diminuite, come a Roma (527 domande). In controtendenza è solo Palermo, dove si è passati da 120 a 138.

Per quanto riguarda le adozioni effettivamente portate a termine, si è passati dalle 3.241 del 2010 alle 2.291 del 2013: questi ultimi sono i dati più recenti rilasciati dalla commissione delle adozioni internazionali (Cai) ma risalgono all’epoca in cui presidente era ancora il ministro Cecile Kyenge. Oggi, come si vedrà in seguito, la situazione ai vertici della Cai è diversa.

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Quanto alle motivazioni di questo vertiginoso calo, secondo Marco Griffini, presidente di Ai.bi, uno degli enti autorizzati più grandi in Italia, non ci sarebbero problemi economici: «La maggior parte delle adozioni avviene ad esempio ancora verso la Russia, uno dei paesi con i percorsi più costosi, si parte da sedicimila euro. La crisi economica influisce quindi solo sino a un certo punto. Neanche il caso delle adozioni stoppate dalla Repubblica democratica del Congo, di cui tanto si è parlato sui media, ha scoraggiato le famiglie, perché in fondo è sempre accaduto che un paese chiudesse le adozioni, ma nel frattempo si aprivano nuovi canali con un altro Stato. Ciò che è cambiato è che a differenza del passato la commissione per le adozioni internazionali è molto lenta, se non paralizzata, nell’aprire nuove strade. Ci sono moltissimi paesi in cui avviare dei percorsi adottivi: Ecuador, El Salvador, Messico. Gli enti continuano a proporne di nuovi, solo noi di Ai.bi abbiamo avanzato richiesta per altri tredici Stati. Invece da tre anni non vengono accreditati nuovi paesi. Anche questo è un elemento che scoraggia le famiglie». Griffini assicura: «Se il governo sostenesse di più le famiglie, sicuramente la flessione del numero di adozioni si stopperebbe o muterebbe verso». Invece, prosegue, «le cose vanno di male in peggio».

A giudicare dal sito della Cai, in realtà, le cose sembrerebbero andare benissimo. Ma Griffini spiega perché nei fatti non è così: «Sul sito campeggia un comunicato di settembre in cui si esalta il fatto che la “commissione ha ricevuto dalle autorità bielorusse la lista già approvata dei minori adottabili”. In realtà, Cai è stata costretta a dare quel tipo di risposta: si tratta di una replica alle sollecitazioni di enti autorizzati e di decine di famiglie, preoccupate perché da tempo la commissione non firmava un documento richiesto dal governo bielorusso per sbloccare le adozioni. Si trattava di una semplice lettera di garanzie, una banale formalità. Ma da mesi la Cai era sorda alle richieste che venivano dal paese dell’est Europa. Quel comunicato è un paradosso: come si fa a esultare per un risultato che si sarebbe potuto raggiungere molto prima? Basti dire che a gennaio 2015 la Bielorussia ha inviato una lettera agli enti autorizzati, pregandoli di scusarsi con le famiglie italiane per eventuali ritardi nelle adozioni che non dipendevano da loro, ma dal nostro paese».

I dati che nessuno dice
Il punto però non è solo l’eventuale figuraccia fatta dal nostro paese a livello internazionale, secondo Griffini. C’è molta amarezza tra gli enti accreditati, spiega il presidente di Ai.bi: «Spero che la Cai non abbia inferto un colpo mortale alle adozioni internazionali. Ciò che riscontro è che nonostante tutto le famiglie italiane credono ancora in questi percorsi. Al 30 settembre di quest’anno stimiamo che siano state effettuate 1.250 adozioni internazionali, quindi si chiuderà l’anno con all’incirca 1.800 percorsi conclusi positivamente. Questi numeri si traducono in un calo del 10 per cento rispetto ai dati che abbiamo rilevato l’anno scorso. Sottolineo che sto citando proiezioni elaborate da Ai.bi, perché i dati ufficiali, pur avendoli a disposizione, la Cai non li pubblica da anni. Eppure, nonostante questa diminuzione dei percorsi conclusi positivamente a livello nazionale, alcuni enti vedono aumentare le pratiche di adozioni che seguono. Ciò a mio avviso indica che le famiglie fanno delle scelte. Premiano gli enti più strutturati che nonostante questi problemi hanno dimostrato di voler andare avanti e di “combattere” insieme a loro per le adozioni. Ecco, questo a me provoca dispiacere: se la commissione avesse proseguito il cammino, sicuramente ci sarebbe stata un’inversione di tendenza nelle adozioni e oggi parleremmo di dati positivi».

Foto da Shutterstock

Tags: AdozionibielorussiaCongo
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