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Crocifisso nelle aule: per la Corte di Strasburgo non viola i diritti umani

Una vittoria non scontanta, visto l'andazzo di un'Europa anti-cristiana. Ma una sentenza politically correct che non cambia la laicista Strasburgo. La decisione, con un escamotage, non contraddice la linea storica delle sentenze della Corte europea per i diritti dell'uomo, nelle quali i simboli religiosi sono spesso stati vietati in pubblico, perché contrari alla laicità

Benedetta Frigerio
18/03/2011 - 18:32
Cultura
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«Se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni». Questa la tanto attesa sentenza, definitiva e inoppugnabile, della Grande Camera della Corte europea che è stata accolta dalla maggioranza degli italiani come la vittoria di una battaglia che non si può più considerare scontato vincere.

Infatti, quando nel 2007 una madre, cittadina italiana di origine finlandese, dopo aver ricorso a tutte le corti del paese, si appellò a quella europea per i diritti dell’uomo chiedendo fossero tolti i crocifissi dalle aule scolastiche, in quanto lesivi della libertà di educazione dei genitori, ottenne il consenso dei giudici di Strasburgo: la Corte europea, contro tutte le decisioni di quelle italiane nel novembre 2009, diede ragione alla donna, scatenando un dibattito pubblico in tutto il paese, con un sondaggio che confermava che l’84 per cento degli italiani si schierava contro la donna e contro la decisione della Corte europea. Non solo, il governo italiano intervenne il 28 gennaio 2010, presentando un ricorso in appello. Al suo fianco Armenia, Bulgaria, Cipro, Lituania, Malta, San Marino, Russia, Principato di Monaco e Romania.

Favorevoli alla sentenza sono stati questa volta quindici giudici contro due soli contrari. Anche se la sentenza, data quella precedente, e altre contrarie ai simboli religiosi dà motivazioni che sembrano sviare dal problema di fondo. Si fa riferimento all’articolo 2 del protocollo 1 sul diritto all’istruzione per dire che: «dalla giurisprudenza della Corte emerge che l’obbligo degli Stati membri del consiglio d’Europa, quello di rispettare le convinzioni filosofiche e religiose dei genitori, non riguarda solo il contenuto dell’istruzione» ma «comprende anche l’allestimento degli ambienti scolastici». E si legge più avanti: «La Corte constata che nel rendere obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del paese una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico».

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Fin qui tutto bene. Ma siccome la Corte ha spesso sentenziato contro i simboli religiosi, per via di un concetto di laicità negativa, che pare andare per la maggiore a Strasburgo, ha dovuto giustificare questa decisione con questo escamotage: «Un crocifisso appeso su un muro è un simbolo essenzialmente passivo». Siamo contenti perché sappiamo che non è così, perché la croce parla e continuerà a rimanere nelle scuole a ricordare il Dio cristiano che muore per salvarci. Dall’altra parte occorre vigilare: non si pensi che tutto d’un tratto la Corte Europea sia rinsavita.

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