Se quanto scrivono i giornali croati in questi giorni sarà confermato anche dalle urne, il referendum di domenica che propone una definizione del matrimonio, attualmente del tutto assente nella Costituzione, come «un’unione tra un uomo e una donna», dovrebbe passare. A pochi giorni dal voto, la stampa del Paese balcanico ha pubblicato una rilevazione demoscopica che dà il “sì” in netto vantaggio al 68 per cento, staccando di gran lunga il “no” (27) con ancora un 5 per cento di indecisi.
IN DUE SETTIMANE, 700MILA FIRME. Per la Croazia sarà la prima votazione referendaria organizzata su iniziativa popolare da quando è una nazione indipendente, e si lascia alle spalle un iter cominciato lo scorso maggio, quando l’organizzazione U ime obitelji (“Nel nome della famiglia”) ha raccolto quasi 780 mila firme in appena due settimane, il 20 per cento dell’elettorato e quasi il doppio delle 450 mila sufficienti per chiedere l’indizione di un referendum. Così, dopo il controllo della regolarità delle sottoscrizioni, il Parlamento di Zagabria a inizio novembre ha accolto la proposta del referendum con 104 voti a favore e 19 contrari, fissando la data per l’1 dicembre 2013. Ciò che ha spinto le associazioni a muoversi preventivamente sul tema, raccogliendo firme per tutelare il matrimonio tra uomo e donna, è evitare che la Costituzione croata vada verso un’apertura alle unioni omosessuali, «specie dopo che questo è accaduto in Francia».
I TENTATIVI DEL GOVERNO. Gli elettori che spingono per il “sì” sono sostenuti dai partiti di centrodestra e dalla Chiesa. Per il “no” si sono schierati i socialdemocratici e la sinistra parlamentare che regge il Governo, che in questi mesi le ha provate tutte per evitare il referendum. Come spiega Josip Horvatiček su La Nuova Bussola Quotidiana, prima si è tentato di indire un ulteriore referendum per decidere se considerare valida la proposta referendaria di “Nel nome della famiglia”, poi hanno pensato all’eliminazione della norma che non fissa alcun quorum per i referendum, incappando però nel “no” dell’opposizione di centrodestra. In seguito, il Governo si è rivolto all’Unione Europea per chiedere un parere sul tema: da Bruxelles, però, non hanno potuto far altro che ribadire come le leggi sul matrimonio siano di esclusiva competenza degli Stati. E infine, ultimo tentativo bloccato però dalla Corte Costituzionale, hanno provato a rendere puramente consultivo il referendum di domenica.
Intanto Hannes Swoboda, presidente del Gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, scongiura ancora una vittoria del “sì”, e si augura che il popolo croato non ceda «alla discriminazione con politiche arretrate. Non vi è alcun motivo di introdurre un emendamento costituzionale sul matrimonio per rendere più difficile il passaggio della legislazione LGBT-friendly in futuro».