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“Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”. Cristina, la suora con un cromosoma in più

Le lotte, la vocazione, la sofferenza. E essere madre, in un modo nuovo. Incontro con una donna che ad ogni passo dice: «Adesso si comincia»

mix
16/07/2013 - 6:50
Società
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Di lei su internet gira un’intervista video alla trasmissione “A sua immagine” (lo vedete qui sotto). Si chiama Cristina Acquistapace, è affetta da sindrome di Down, è una suora. Con parole delicate e precise, in quell’intervista va al cuore di una ferita aperta nella modernità occidentale: l’aborto. «Se nascevo nel 2000 l’amniocentesi mi fregava», dice a un certo punto. Tempi.it si è preso la briga di andare a incontrare a casa sua Cristina, incontrandola in compagnia dei genitori (nella foto con lei a sinistra).
Ha 41 anni, ma ne dimostra venti in meno quando arriva ad accoglierci con una maglietta viola su cui campeggia la scritta gialla “prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”. Saluta, mentre gioca con due cani che non la mollano mai. Al suo fianco, mamma Marilena. «Siamo una squadra», esordisce Cristina. «Non solo per sostenerci, ma per andare a raccontare quanto bella sia la vita, anche quando ti arriva un pacco come me: prendi due e paghi uno. Di cromosomi intendo. Vero ma’?», ride Cristina, che quando è nata, mamma Marilena era solo una ventenne.

Cosa pensi dell'aborto? «Se nascevo nel 2000 l’amniocentesi mi fregava»

CROMOSOMI. Marilena la mette giù così: «Gli dissi: “Signore sono giovane, se mi dai questo, adesso tu mi aiuti a portarlo. Non sapevo ancora che era proprio mia figlia l’aiuto più grande che stava dando alla mia vita». Ma Cristina si fa seria: «Non esagerare, mamma, che te ne ho dati di problemi… Beh anche voi a me», aggiunge ridendo. Marilena le ricorda che «è normale, dovrebbe essere sempre così tra figli e genitori», ricordano con ironia le sere che «per insegnarle ogni cosa la mandavo a letto sfinita». E le volte che «non le ho risparmiato la fatica di sbrigarsela da sé, ad esempio quando ha ricevuto il primo insulto. Certo che soffro a vederla star male, ma questa è la vita e se l’avessi messa sotto una campana di vetro, sarebbe stato peggio».
Marilena, sin da quando Cristina era piccola, le ha ripetuto questa frase: «Figlia mia, hai un cromosoma in più e non è colpa di nessuno, capita ma noi combatteremo insieme». «Se non glielo avessi spiegato – aggiunge – si sarebbe spaventata di più. I figli non vanno etichettati: cromosoma sì, cromosoma no». Poi le due si guardano e Marilena continua: «Quindi sai che non te le mando a dire: se ho detto che sei la maestra della mia vita è così».

LASCIALO STARE QUELLO, E’ UN IMBECILLE. Come quella volta che Marilena fece un incidente e il conducente dell’auto la insultò. La donna perse il controllo e Cristina le spiegò: «Ma’, non vedi che quello è un imbecille, se ti metti al suo livello rischi di confonderti con lui». Bisogna dire che Cristina sa chiamare le cose solo con il loro nome. E che, pur sincera come una bambina, ha la tempra di una leonessa. «La vita è dura, a volte ti mette in ginocchio, ma c’è molto bene e solo per questo vale la pena vivere… è bello vivere».
E si vede che non mente, perché come Cristina gusta i piatti preparati dal papà che pare un cuoco, come ride alle battute, come guarda le montagne della sua baita, provoca invidia. Pur sapendo che, se anche non lo dice «perché non si lamenta mai» spiega la mamma, spesso i denti le fanno male, le ginocchia cedono e gli acciacchi sono quotidiani.

ESSERE MADRE. «Eh la sofferenza… – continua la ragazza – chi vive in una corazza per non sentirla, non permette nemmeno alla gioia di entrare. Per gioire davvero bisogna accettare il dolore». Questa corazza sarebbe anche il motivo per cui, secondo Cristina, nel mondo d’oggi mancano madri e padri veri: «Senza strappo e sacrificio non si cresce. Restiamo fermi, degli eterni adolescenti. Io invece mi fortifico».
Cosa fa oggi Cristina? «C’è troppa povertà spirituale», dice. Quindi? «Quindi bisogna educare le persone, per questo giro l’Italia». Mentre prima lavorava come cuoca in un asilo, «ora che il fisico tiene meno, do testimonianze nelle scuole, aiuto i giovani che mi chiedono consigli e ne ho adottati alcuni a distanza». Due ragazzi in difficoltà sono i figli acquisiti a cui la famiglia della ragazza ha aperto la porta. Per questo Cristina si definisce una madre, «anche se non biologica come un tempo avrei voluto».

LE MEZZE RISPOSTE NON ESISTONO. Cristina desiderava sposarsi, ma a 19 anni fece un viaggio in Kenya. Lì, aiutò una missione di suore. «Vivendo come loro, mi riscoprivo felice di servire Gesù. E sentii nel cuore che mi chiamava a dargli tutta la vita». Davanti a quell’idea, per la prima volta da quando era nata, anche Marilena dubitò: «Ho combattuto perché frequentasse la scuola quando i Down non ci andavano ancora, perché imparasse tutto quello che le era possibile, ma quella volta pensai a un’infatuazione». Cristina si arrabbiò: «Mamma, io devo vivere la mia vita e se il Signore chiama le mezze risposte non esistono». Quando Marilena sentì Cristina pregare, «con riflessioni di una profondità che mi sbalordiva, capii che era vero».
Fu l’inizio di una nuova battaglia. Sebbene fossero in molti a essere diffidenti di quella vocazione, la congregazione dell’“Ordo Virginum”, che rispondeva all’allora vescovo di Como, monsignor Alessandro Maggiolini, non pose limiti alla provvidenza divina. «Mi trattarono come una donna. Capii che era il mio posto, anche perché volevo servire Cristo stando nel mondo». Come lo ha capito? Facile: «Queste cose si capiscono, è naturale».
Quando a 33 anni la ragazza pronunciò i voti di castità, povertà e obbedienza, al termine della funzione Marilena si avvicinò alla figlia, «per sentirmi correggere ancora una volta: “Adesso è finita finalmente”, le dissi. E lei: “No, è solo cominciata”. Come al solito aveva ragione».

SBOLOGNATA DAI MEDCI. Nel 2008 Cristina cominciò a stare molto male, un virus le faceva traballare le ginocchia. Inizialmente, i medici «mi sbolognarono dicendo che mia capitava così perché sono Down». La risposta alle sue rimostranze fu uno psicofarmaco. Marilena allora portò Cristina in un altro ospedale. «Lì – spiega la mamma – la guardarono come una persona, non per la malattia che ha e le diedero una buona terapia». Ma solo nel 2012 arrivò quella migliore, peccato che prima di dare beneficio la cura prevede due settimane di dolore acutissimo e continuo. «Era diventata troppo dura, ma ecco che mi arrivò il vero l’antidepressivo», ride la ragazza. «Mi regalarono questo cucciolo di cane che si chiama Uriel, il nome di un angelo di Dio, e mi diede forza. Lo sfidai, come faccio sempre con il dolore, e dissi: “Ok, sei solo un cucciolo, io devo fare di te un grande cane”, e cominciai a reagire di nuovo». Uriel arrivò l’8 dicembre scorso, lo stesso giorno in cui Cristina fu concepita: «È la data dell’Immacolata Concezione. Un caso?», dice aprendo le braccia.

LI PRENDO COME SONO. È il momento dei saluti, c’è tempo solo per un’ultima domanda. Cristina, ti capita di sentirti su un altro piano rispetto agli altri? «Diciamo di sì, a volte capisco che non vedete le cose per quelle che sono: un dono continuo del mio Sposo. E quindi si chiacchiera del nulla». E ti spiace? Cristina alza le spalle: «Dipende, se serve una svegliata intervengo, a volte mi arrabbio. Ma gli uomini sono fatti così, li prendo come sono. Come prendo me».

@frigeriobenedet

Tags: Abortocristina acquistapacesindrome di downtestimonianza vita
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