Se Paolo Flores D’Arcais dice che una sentenza “è lurida” perché assolve un innocente che lui vorrebbe a ogni costo colpevole, se un Francesco Saverio Borrelli dice che “la morte di Craxi sarebbe un problema per Tangentopoli” perché il problema non è se Craxi crepa ma se crepa con un certo grido stonato in gola (e cioé “io non sono un ladro, la degenerazione fu di tutti i partiti, compreso il Pci, hanno colpito Dc e Psi per coprire un colpo di stato, fate una commissione di inchiesta su Tangentopoli e vedrete se i fatti non mi daranno ragione”), se un Tonino Di Pietro non ha altra merce da piazzare come politico se non quella delle querele e richiesta di passare all’incasso per chiunque lo critichi, se Caselli oltre alle querele si nutre di tanta buona stampa che vorrebbe esimerlo dalle responsabilità di un madornale errore giudiziario che avrebbe fatto dimettere qualunque altro magistrato, re Salomone ci insegna che la giustizia deve valutare attentamente fatti e testimonianze e guardarsi bene dall’accecamento ideologico e sentimentale. Una volta, racconta infatti la Bibbia, davanti a Re Salomone si presentarono due prostitute con due neonati, l’uno morto, l’altro vivo, ed entrambe rivendicavano quello vivo per sé. Ora, dato che non c’era modo di appurare la verità, il Re si fece portare una spada e ordinò che il figlio vivo venisse tagliato in due in modo che ne fosse data una metà all’una e una metà all’altra. Racconta la Bibbia che a quel punto la vera madre “si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, dicendo: ‘Signore, date a lei il bambino vivo, ma non uccidetelo!’. Mentre l’altra disse: ‘Non sia né mio né tuo, dividetelo in due!’.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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