Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il fondamento di ogni società è l’educazione. A questo proposito, in una conversazione con una ricercatrice americana, l’educatore don Luigi Giussani osservò: «Durante un mio soggiorno negli Stati Uniti, nei primi anni Sessanta, ebbi modo di partecipare a gruppi di studio sui problemi dell’educazione, anche in riferimento alla pastorale. Dopo un po’ mi accorsi che tutto il problema era focalizzato sulle tecniche da adottare e sugli strumenti da usare, ma veniva del tutto dimenticato il soggetto, e perciò il punto di partenza. Invece, come tutta la tradizione cristiana insegna, l’educazione non è essenzialmente questione di mezzi e strumenti che una comunità si dà, ma è questione di verità di vita di colui che educa e della comunità stessa. Fissarsi sulle tecniche e sulle metodologie è un grave errore di prospettiva, che svuota la dinamica educativa».
Di tutti gli strumenti e tecniche immaginati per educare alla “cittadinanza”, arginare i conflitti, neutralizzare certi cosiddetti “ideali divisivi” (come per esempio la ricerca di “Ragione” e “Verità” con la maiuscola), individuare una “religione civile” in funzione coesiva della società, il “politicamente corretto” è il tentativo più universalmente riuscito e strutturato. Ne parliamo nel numero di Tempi in edicola. Registrando, tra l’altro, le inquietudini del Financial Times, bibbia finanziaria che della correttezza politica (o “relativismo” etico e ontologico) è fine cultore, naturalmente in chiave di plusvalore economico (vedi alla voce “finanza gay-friendly”).
Il politicamente corretto non è solo la neolingua orwelliana che divide selettivamente ciò che si può pensare (in privato) e dire (pubblicamente) da ciò che è tabù. È una vera e propria “religione” che, attraverso mezzi di comunicazione, scuole, accademie, istituzioni, plasma gli esseri heideggerianamente “gettati” nel mondo globalizzato. Con quale risultato? Il disordine e la violenza dominanti dovrebbero già darci un’idea del fallimento a cui è pervenuto, dopo la caduta del Muro, il più grande progetto di riscrittura del mondo secondo utopia. Ci troviamo di fronte a nient’altro che a un’evoluzione del nichilismo. Ancora una volta, dopo i “cimiteri sotto la luna” del secolo scorso, il tentativo di produrre “cristianesimo dall’esterno”, cioè una civiltà universale con “codici” nel cristianesimo ma ignorante o addirittura rinnegante Cristo, ottiene esattamente il contrario degli ideali di pace, giustizia, tolleranza eccetera, diuturnamente quanto utopisticamente affermati, sbandierati, martellati in ogni piega della società.
Eppure, non sono forse gli stessi ideali introdotti nel mondo da Lui, “la Tigre”, secondo Eliot, “Buona Novella” che aprì uno squarcio di speranza sotto un cielo cupo, dominato da poteri disperati e divinità crudeli? Purtroppo, la chiesa universale di Cristo-senza-Cristo non è una realtà storica, una compagnia tra uomini, un’esperienza di vita. Purtoppo è solo un teatro idiota, pieno di tecniche e strumenti, e che non significa nulla.
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