Contrordine, compagni catastrofisti: il climate change non è la fine del mondo
Contrordine, compagni catastrofisti: abbiamo esagerato. Non è vero che moriremo tutti, che è troppo tardi per cambiare le cose, non è vero che continuando così ogni cosa è perduta, non è vero che abbiamo rovinato tutto. Finalmente anche gli esperti iniziano a rendersi conto che i cambiamenti climatici non sono la fine del mondo, e soprattutto che raccontarli con toni apocalittici non serve a mitigarli, anzi, fa crescere generazioni spaventate e disilluse che alla lunga tenderanno a diminuire i propri sforzi per salvare il pianeta perché tanto non c’è niente da fare.
«Il compito è scoraggiante»
La riscossa è partita un paio di giorni fa, dopo la pubblicazione dell’ultimo report dell’Ipcc, il panel di esperti delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti climatici secondo cui le nazioni devono allontanarsi molto più velocemente dai combustibili fossili per sperare ancora di prevenire le conseguenze pericolose di un pianeta surriscaldato. L’avvertimento è il solito: a meno che i paesi non accelerino drasticamente gli sforzi nei prossimi anni per ridurre in modo significativo le loro emissioni di carbone, petrolio e gas naturale, l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius sarà probabilmente fuori portata entro la fine di questo decennio.
Ma, come scrive il sempreverde New York Times, «il compito è scoraggiante: mantenere il riscaldamento a soli 1,5 gradi Celsius richiederebbe alle nazioni di ridurre collettivamente le loro emissioni di circa il 43 per cento entro il 2030 e di smettere del tutto di aggiungere anidride carbonica all’atmosfera entro l’inizio degli anni Cinquanta, ha rilevato il rapporto. Al contrario, le attuali politiche dei governi dovrebbero ridurre le emissioni globali solo di pochi punti percentuali in questo decennio. L’anno scorso, le emissioni di combustibili fossili in tutto il mondo sono rimbalzate a livelli quasi record dopo un breve calo dovuto alla pandemia di coronavirus».
Frenare il “doomismo”
Dunque, che fare? Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha detto che i paesi ricchi «stanno soffocando il pianeta» e gli scienziati hanno aggiunto, come da circa cinquant’anni a questa parte dopo ogni rapporto sul clima, che c’è poco margine se il mondo vuole mantenere il riscaldamento globale a livelli relativamente tollerabili. Ora è vero che il catastrofismo si porta molto, fa vendere di più e ottenere più fondi di ricerca, ma qualcuno inizia a rendersi conto che forse ripetere la pappardella apocalittica non sta cambiando le cose, anzi.
«Il cambiamento climatico peggiorerà», scrive l’Associated Press, «ma per quanto cupi siano gli ultimi rapporti scientifici, compreso l’ultimo, sempre più scienziati sottolineano che frenare il riscaldamento globale non è senza speranza. La scienza dice che non è finita la partita per il pianeta Terra o per l’umanità». La nuova battaglia non è più soltanto quella per educare le masse a salvare il pianeta, ma frenare il doomismo, l’idea cioè che tutto sia perduto, e che quindi sia inutile persino preoccuparsene.
Decenni di “è troppo tardi”, “bisogna agire adesso”, conti alla rovescia verso il punto di non ritorno ogni volta rimandati, scioperi del clima e accuse ai governi di avere rubato il futuro ai ragazzi hanno prodotto una generazione ansiosa, con attacchi di panico per le sorti del pianeta, sedute dallo psicologo per curare la depressione da climate change e l’idea che non valga nemmeno più la pena di fare figli.
Tornare realisti sui cambiamenti climatici
È iniziata l’epoca dei distinguo, insomma, anche da parte di chi fino a ieri criticava la posizione di chi – nel nostro piccolo anche noi di Tempi – diceva che quello dei cambiamenti climatici è un problema ma non la fine del mondo. Il direttore del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente Inger Andersen ha affermato che con l’ultimo rapporto dell’Ipcc, per certi versi più “ottimista” degli ultimi, i funzionari camminano sul filo del rasoio: da una parte cercano di spronare il mondo ad agire perché gli scienziati dicono che la crisi c’è, ma dall’altra non vogliono più gettare le persone in una spirale di paralisi con previsioni troppo cupe.
«Il grande messaggio che abbiamo (è che) le attività umane ci hanno portato in questo problema e l’azione umana può effettivamente tirarci fuori di nuovo», ha detto James Skea, tra gli autori del rapporto Ipcc. «Non è tutto perduto. Abbiamo davvero la possibilità di fare qualcosa». Finalmente. Bisognava aspettare che il mondo cadesse in depressione, per smetterla di fare i catastrofisti e tornare realisti?
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