Loro, che hanno in comune la tinta delle chiome e il parrucchiere, il foularino di cachemire e il fazzolettino di seta, il pianto cinese di Rep. e le coccole del Corrierino dell’Unione, hanno ragione a lamentarsi del manrovescio ricevuto dal fantastico Berlusconi. Massì che «il premier ci delegittima». Massì che il Cavaliere ha violato le regole del bon ton e buttato all’aria il teatrino dei puffi di Prodi. Però, a chi la danno a bere le calde lacrime d’indignazione di LCdM e del suo amico Scarparo? S’è visto, no? La discesa a Vicenza del Chisciotte di Arcore ha provocato un vero e proprio sommovimento imprenditorial-popolare. Scene da stadio, tifo alle stelle. Altro che l’applauso ceuaseschiano per la Junta. Altro che l’aperitivo al bar delle Olimpiadi cortesemente offerto dal bel Luca al trucido no-global. Altro che la sciccosa ruffianeria con i violenti e la retorica della concertazione con la Cgil.
Non ce n’è. Il “Silvio, Silvio!” scandito dalle seconde file in su, i fischi alla nomenclatura, insomma, l’euforia suscitata dallo scatto di verità e di orgoglio del Cavaliere della Mancia nella Pampa di Confindustria la dicono lunga su quale sia il sentimento prevalente alla base e l’isolamento degli asserragliati nel palazzo dell’Unione. Hanno voglia, loro, a recitare il nudo e impettito coccodè all’«inaccettabile tentativo prepotente di delegittimare Confindustria». Ma che legittimità ha un vertice dell’imprenditoria italiana che, mentre la sua base combatte la disperata battaglia di rimanere sul mercato liberando le forze della produttività e della competitività, si abbandona all’abbraccio mortifero di statalisti e ricomunisti?
Berlusconi ha messo a nudo i mercanti nel tempio. Ovvero quel che tutti sanno di quei due o tre furboni del quartierone che vivono di spesa e rendita pubblica. Gli imprenditori con i sussidi dello Stato e le leggi sulla rottamazione.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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