Padre, confesso che ho peccato. Predico bene e razzolo male. Sono un fautore dell’organizzazione di gioco, della prevalenza del collettivo sui singoli, della zona sulla marcatura a uomo, di Sacchi su Trapattoni. Credo che le cose vadano avanti, specialmente nello sport e nel calcio, credo in Real Madrid-Milan 1-1 (1989), la partita della svolta epocale, con la prima squadra italiana ad affrontare a viso aperto il Bernabeu. Carico di queste motivazioni, sono andato a vedere il derby di Genova e mi sono accorto che si può parlare fin che si vuole, ma se poi c’entra il tifo, il cuore, tutte le belle intenzioni vanno a ramengo e conta solo vincere, lo spettacolo alla prossima. Sampdoria-Genoa 0-1, padre, 90 minuti di attacchi doriani, loro che sbagliavano gol a valanga, noi che siamo usciti per una sortita sola, un golletto e via, di nuovo nella casamatta: schema del ventennio, 8-2-0. Il popolo del Grifo cantava “Creuza de ma” di De André (un fratello) e io, mentre rotolavo, in un punto bassissimo della mia professionalità, abbracciato a un mio collega (di lavoro e di fede) ho pensato: tanti bei discorsi, assumono Delio Rossi, profetino del nuovo calcio, e rischiamo la serie C. Sull’orlo del baratro, arriva Bruno “Maciste” Bolchi e c’è già chi fa i conti con la promozione in serie A. Padre, avrei dovuto rifiutare questo concetto che stride con quanto penso e scrivo, con la mia fede. Con orrore, invece, me lo sono tenuto. Vai Maciste, facci sognare.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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